lunedì 23 febbraio 2009

SE N'E' ANDATO CANDIDO CANNAVO', SIMPATIZZANTE DELL'APNU.





Il giornalista ed ex direttore de "La Gazzetta dello Sport" Candido Cannavò è morto domenica mattina a Milano all'età di 78 anni.
Era simpatizzante dell'Associazione APNU a cui aveva donato molte copie del suo ultimo libro "Pretacci" per sostenere la nostra attività.
Chi desidera acquistare il suo libro può scrivere a info chicciola apnu.net.
Grazie Candido...un saluto dal cuore.

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Era in coma da giovedì scorso, quando aveva accusato un malore mentre era in redazione. Le sue condizioni erano subito apparse gravissime.
Se ne è andato così, Cannavò. Lavorando. Come faceva ininterrottamente dal 1949. In quell'Italia ancora lontana dal boom e alle prese con i primi anni del dopoguerra, il giovane Cannavò aveva deciso di intraprendere l'avventura giornalistica.

A 19 anni, seguendo lo sport. Amore di un'esistenza intera. La Gazzetta, quel giornale inconfondibile, segnato dal colore rosa e dall'unicità del tema lo aveva assunto nel 1955. Corrispondente da Catania, prima di prendere l'abbrivio e seguire Mondiali, Olimpiadi, Giri d'Italia e Tour de France. Spirito itinerante, polemista acceso senza mai dimenticare garbo e gusto per il dialogo, Cannavò scalò posizioni e divenne prima vicedirettore nel 1981 e poi direttore nel 1983.

Capello bianco dopo capello bianco, Cannavò raccontò l'epopea del mundial spagnolo del 1982, salvifica operazione e trionfo liberatorio per una nazione riemersa da un decennio terribile, divenendo amico di alcuni dei principali artefici di quel successo, a partire da Enzo Bearzot, l'allenatore con la pipa. Il padre di quella spedizione.

Cannavò consolidò il giornale, lo traghetto a vendite mai toccate in precedenza, aprendolo a nuovi canali comunicativi. La multimedialità non lo spaventava, il richiamo del passato, pur presente in non velate nostalgie per un'epoca che non sarebbe più tornata, non lo inchiodava al ricordo. Viveva nel presente, Cannavò. Entusiasta, instancabile, capace di commuoversi (ricordava la tragica serata dello stadio Heysel, come il peggior episodio della sua carriera) e generoso con i colleghi più giovani e meno conosciuti, cui non negava mai tempo e disponibilità per interviste. Sapeva raccontare Cannavò. Ogni frase aveva un impianto scenico, bastava perdersi, certi di non annoiarsi.

L'ultima passione, quella per i più deboli, l'aveva portato a contatto con l'universo carcerario, con i preti di strada e con il mondo dei disabili. Era un meridionale fiero delle sue origini. Consapevole del ruolo degli ultimi. Sempre pronto, in cuor suo, a cambiare ordini di arrivo decisi da altri. Gianni Agnelli, che gli voleva bene, scrisse un'epigrafe anticipata. "Non sapremo mai ciò che la medicina ha perso (Cannavo sarebbe potuto diventare medico ndr) ma sappiamo quanto ci ha guadagnato lo sport e noi con lui". Oggi lo sappiamo. Perdiamo tanto. Ciao, Candido.




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