sabato 31 marzo 2012

PASQUA - IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI



Il silenzio degli innocenti

di Suman Casini
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È Pasqua, suonano le campane, e tutto il mondo festeggia la resurrezione di Cristo. Una festa mistica quindi, all’insegna della trascendenza e della vita ultraterrena. Ma il rovescio della medaglia pasquale, ormai consegnata come altre festività religiose al consumismo più sfrenato, è l’ecatombe di agnelli e capretti sacrificati in nome di qualcosa che con il misticismo e la trascendenza non ha niente a che fare. E l’analogia con il famoso thriller da cinque premi Oscar finisce nel titolo, che in questa occasione sembra davvero calzante. Ancora più calzante però il titolo inglese del film: The silence of the lambs. Il silenzio degli agnelli. Perché proprio di questo si tratta. Milioni di agnelli messi a tacere per sempre, dopo aver pianto tutto il loro dolore e tremato di terrore e paura. E anche il silenzio delle loro madri, milioni di pecore ammutolite dallo sgomento, dopo aver belato per giorni per la perdita dei loro piccoli.
Gli agnellini poi riappaiono sui banconi dei macellai e dei supermercati, interi o fatti a pezzi, gli occhi velati nell’ultimo sguardo spaventato prima della morte e i dentini serrati che sembrano quasi sorridere. Martiri innocenti di una guerra fatta in nome dell’ingordigia e dell’ignoranza, come vuole la tradizione pasquale. Investendo di crudeltà una celebrazione che per ogni cristiano dovrebbe avere un valore esclusivamente spirituale, festeggiando con un’onda di morte la vita eterna di Cristo.
Un paradosso che spogliandosi dell’ipocrisia salterebbe agli occhi anche del più sprovveduto degli uomini, ma che invece si perpetua ogni anno allargando sempre di più il business carnivoro e il divario fra realtà e coscienza. Trasponendo a livello di massa la barbarie dei sacrifici rituali di animali fatti in passato da sacerdoti e vati, e procrastinando all’infinito la consapevolezza del fatto che uccidere un animale è un atto contro natura.
Qualcosa che induce all’assuefazione alla morte e alla violenza, perché coltivare la crudeltà e l’indifferenza verso le altre creature ha come conseguenza una maggiore crudeltà e indifferenza anche verso gli esseri umani, diminuendo la soglia di percezione dei valori e il grado di empatia verso gli altri. A livello energetico invece nutrirsi di morte non fa che aumentare l’onda statica del pianeta, mantenendo l’umanità in una sorta di preistoria tecnologica, immersa nell’ignoranza del suo vero potenziale evolutivo.
Pasqua è sinonimo di primavera, e primavera è sinonimo di risveglio e di vita. Le piante mettono le prime foglioline di un verde squillante, il canto degli uccellini si fa pieno di allegria e sfumature, ai margini dei campi esplodono nuvole dei biancospini fioriti e nel sottobosco spuntano crochi, violette e pervinche, mentre qualche timida ginestra annuncia già il suo profumo. Un risveglio alla vita che riempie di gioia il cuore degli uomini, gratificando lo sguardo con il verde dei campi che ogni giorno diventa più intenso dopo i colori appassiti dell’inverno.
Un rinnovamento globale della natura che si proietta nell’anima e la rigenera, facendoci profondamente partecipi del ciclo della vita che rinasce. Ed è proprio in questo contesto che muovono i primi passi gli agnellini e i capretti nati con la luna piena di febbraio, pronti a godere la vita con tutta l’energia della nuova vita che nasce. Inermi creature dotate di una bellezza e una grazia che commuove chiunque, anche l’orco che presto li divorerà.
Perchè l’essere umano è così, si commuove accarezzando un agnellino e vedendolo saltellare felice insieme al resto del gregge, ma è pronto a ucciderlo, spellarlo, squartarlo, cucinarlo e mangiarlo. Senza battere ciglio e senza commuoversi per la sua triste sorte. E lo stesso vale per tutti gli animali considerati commestibili dall’uomo, intenerito dalla bellezza innocente dei cuccioli ma incapace di rinunciare al suo cannibalesco piacere.
Triste davvero è la sorte degli agnelli pasquali, ma ancora più triste è l’indifferenza godereccia in cui questo sacrificio di massa si consuma. Un sopore delle coscienze che non permette di realizzare il valore entitativo della vita degli animali, i cui diritti sono calpestati e riconosciuti solo per alcune specie. Come se un agnello avesse meno diritto di vivere di un cane o di un panda, e un vitello meno di un gatto o di una foca monaca in via di estinzione.
E in questo tipo di ragionamento c’è qualcosa che non va. Da un lato i cani, i gatti, e tutti gli animali da compagnia per cui l’uomo spende e spande arrivando a aberrazioni consumistiche che rasentano il feticismo. Per non parlare dell’imbarazzante squilibrio fra i popoli che muoiono di fame e il budget dell’occidente opulento per nutrire e coccolare i propri pets, oggetto di investimento affettivo e speculazioni economiche da parte di chi allarga sempre di più questa fetta di mercato.
Dall’altro gli animali allevati per essere uccisi e mangiati, dopo aver subito torture indicibili negli allevamenti intensivi, o aver pascolato e razzolato felici godendo una libertà fittizia all’insegna del biologico e dello slow food. E in mezzo il sempre crescente impegno su vari fronti degli animalisti per la conservazione di specie animali in via di estinzione, il cui numero purtroppo sta ogni giorno aumentando.
Lotta giusta e sacrosanta, com’è sacrosanto il diritto alla vita di ogni animale che nasce nel mondo. Ma non è così. Perchè l’uomo del terzo millennio, così evoluto e informato, così tecnologicamente attrezzato e scientificamente preparato, capace di conquistare lo spazio e creare forme di vita transgeniche, riguardo al cibo di cui si nutre mantiene ancora la mentalità primitiva di un cavernicolo che si arroga il diritto di uccidere per nutrirsi. Un atto contro cui ogni coscienza dovrebbe ribellarsi. Tanto più le coscienze di chi nella Pasqua vede il simbolo della vita eterna, e ispirato dalla tradizione religiosa si appresta a santificare la resurrezione del simbolo incarnato di Dio.
Quinto: non uccidere. I precetti della cristianità codificati nei dieci comandamenti esortano al rispetto per la vita, ma la visione antropocentrica corrente non permette di includere in questo precetto il rispetto per la vita animale. Il piccolo popolo resta quindi il vero agnello da sacrificare sull’altare dell’egoismo di chi non ha occhi per vedere e orecchi per sentire. O pur vedendo e sentendo preferisce far finta di niente, anteponendo la propria soddisfazione culinaria al diritto alla vita. E tutto questo in un mondo che offre molte alternative alimentari, e una varietà di cibo non animale così grande, abbondante e nutriente, da non rendere assolutamente necessario continuare a cibarsi di carne.
Abitudine, tradizione, tendenza compulsiva al materialismo e al consumismo energetico, incapacità di comprendere il senso assoluto della sacralità della vita, errata interpretazione dei valori esistenziali, indifferenza e assuefazione alla crudeltà e alla morte..... Queste sono solo alcune delle motivazioni che fanno della Pasqua una strage ciclica di creature innocenti, senza nemmeno interrogarsi sul perché. Mettendo sulla stessa bilancia cristiani e non, perchè davanti a un piatto di abbacchio arrosto nessuno o quasi si tira mai indietro.
E allora, mantenendo l’allegoria della cristianità, vien da pensare che se c’è davvero una giustizia divina da qualche parte deve esistere anche un paradiso degli agnelli, dove le vittime sacrificate sull’altare dell’egoismo umano vivranno felici in eterno brucando nei pascoli più verdi e più teneri dell’al di là. Accanto al paradiso dei polli, delle mucche, dei tacchini, dei pesci e così via, mentre i loro carnefici dovrebbero bruciare nelle fiamme dell’inferno scontando così i loro peccati.
Un paradosso ovviamente, che nella legge di causa effetto può trovare una risultante, visto che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. E qui l’ammonimento a non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te può essere di monito e aiuto, includendo gli animali nel concetto di altri esseri, altre creature viventi. Facendo propria la visione pancosmica di San Francesco, che nel suo Cantico delle Creature vede ogni cosa come parte della creazione divina.
E dovrebbe anche far riflettere il fatto che la parola animale ha la stessa radice di anima, suggerendo che il soffio vitale è lo stesso e non appartiene all’uomo ma a Dio, e in quanto tale va rispettato in tutta la sua sacralità. Solo così, e solo allora, l’umanità si risveglierà alla coscienza e proietterà nel mondo una visione veramente umana di sé. Perché la supremazia dell’uomo sul resto della creazione deve essere ispirata alla consapevolezza e non all’egoismo e alla materialità. Il risultato altrimenti sarà lo sfruttamento incosciente delle risorse e continui conflitti fra gli esseri umani e con le altre creature.
Questo è quello che sta succedendo finora, e i catastrofici effetti sono sotto gli occhi di tutti. Perchè tutto è veramente Uno, e ogni atto dell’uomo contro la Legge che regola l’equilibrio cosmico è destinato a ripercuotersi ovunque.
Nel pianto di milioni di agnelli prima del sacrificio si può quindi avvertire anche il lamento per un’umanità che ancora non capisce, chiusa nella sua visione profana dell’esistenza, incapace di comprendere che cibarsi di morte è contro la vita, e che l’essenza della vita è l’amore, come hanno predicato molti Maestri. Un amore consapevole e illuminato, che una volta realizzato porterà l’umanità verso una nuova era, dopo aver attraversato le tenebre e essersi finalmente risvegliata a una nuova visione di sé.
La rivoluzione vegetariana e vegana perciò, è e sarà una rivoluzione della coscienza, qualsiasi sia la motivazione che porti a escludere la carne dalla propria alimentazione, gettando le basi per un nuovo modo di essere e di vedere il mondo. Una rivoluzione già in atto fra noi, dato il numero sempre crescente di vegetariani e vegani, e l’impatto sempre più ampio e motivato delle ragioni che portano a scegliere di non mangiare più gli animali. Includendo dati e statistiche che sottolineano l’urgenza di cambiare le abitudini alimentari globali, l’unico modo per permettere la sopravvivenza del pianeta e dei suoi abitanti.
Se la scelta vegetariana o vegana è motivata da motivi salutistici, allora alla base ci sarà la comprensione che cibarsi di morte non è buono per la salute, portando comunque chi fa questa scelta a un cambiamento interiore e modificando gradualmente la sua visione del mondo. Se invece è motivata da una visione ecologica e sociale allora le ripercussioni saranno più ampie, andando oltre l’interesse puramente individuale e vedendo nella diffusione del vegetarianesimo e del veganismo la soluzione a molti problemi del mondo. Mentre una motivazione di ordine morale tenderà ad abbracciare ogni aspetto, partendo da una visione etica e includendo sia i valori salutistici, che quelli ecologici e sociali. Tre diversi livelli ognuno dei quali ha un senso e darà un contributo oggettivo al cammino dell’umanità verso un cambiamento positivo.
Dalla sua apparizione su questo pianeta fino a oggi il cammino dell’uomo può essere visto a grandi linee come l’eterna lotta fra il bene e il male, fra le forze dell’oscurità e quelle della luce. Niente di nuovo quindi sotto il sole. Ma siccome il dramma cosmico è stato scritto dal Divino, in questa eterna lotta fra l’oscurità e la luce alla fine non può che essere la luce a vincere. E fra i due campi in lotta bisogna sempre scegliere da che parte stare, partendo anche da una cosa apparentemente semplice come mangiare.
Mangiare carne infatti trattiene l’uomo nell’oscurità, mentre la scelta vegetariana e vegana lo aiutano nel suo cammino verso la luce. E in un’epoca come la nostra, davvero alla soglia di nuovi mondi possibili, dotata di una tecnologia eccezionale che esalta l’onnipotenza dell’uomo, con la scienza alla ricerca della particella di Dio, combattuta fra scelte come la manipolazione genetica e il nucleare, che richiedono una grande illuminazione per non portarci tutti al disastro globale, la scelta di non cibarsi di carne aiuterà il risveglio delle coscienze, permettendo di diradare l’oscurità e illuminando il cammino verso un mondo migliore.


venerdì 23 marzo 2012

IL CAVALLO CIECO CHE VINCE - LAGHAT

" Non vede ma percepisce ogni cosa. I suoi occhi interiori gli hanno
permesso di scoprire il mondo in modo eccezionale.
Lui non ha bisogno di vedere cosa c'è intorno a sè. Lo sa e basta. Ha
imparato a conoscere Federico, suo amico e allenatore, sa capire quando è
triste e quando è felice, quando è il momento di giocare e quando di
trottare.
Laghat (questo è il nome del cavallo), Federico lo riconoscerebbe tra mille
persone, e conosce bene quel legame unico che soltanto i grandi amici sanno
costruire. Lo sente quando sta per arrivare, prima ancora che si avvicini.
Questo è il mondo animale. Gli animali possiedono delle antenne
sensibilissime che vanno oltre la vista. Laghat è un cavallo di nove anni,
cieco dalla nascita a causa di una micosi.. E forse per necessita ha
sviluppato all'ennesima potenza tutti gli altri sensi
Ho sempre pensato agli animali come a esseri misteriosi che sanno più di
quello che esprimono con le loro mille manifestazioni che mi stupiscono ogni
giorno. Spesso si dice: gli manca solo la parola. A Laghat invece manca la
vista, almeno clinicamente. Ma questo non gli impedisce di essere uno
straordinario purosangue che corre, gareggia, stacca gli avversari e vince.
Proprio così. Vive e si allena a San Rossore,a Pisa, nato con la
competizione dentro. Ha già portato a casa diciannove vittorie in cinque
anni e una lunga serie di piazzamenti in giro per l'Italia.
Laghat ha un dono, una " luce dentro" come dice il suo amico, proprietario e
fantino, Federico. " Riesce ad orientarsi perfettamente in pista, non ha
alcun problema a stare in gruppo con gli altri cavalli." Neanche Federico,
che passa le giornate con lui, riesce a capire come sia possibile: "Avrà un
sesto senso che gli consente di evitare contatti e scontri con gli altri
cavalli; di certo posso dire di non avere mai avuto problemi a guidarlo, mi
segue, anzi risponde perfettamente ai comandi.".
Laghat è un cavallo fortunato invece che in un box vive in un capanno
attrezzato a San Rossore, dove si allena insieme alla compagna, una bella
cavalla grigia. " E quando torna arrabbiato dopo una gara andata male spesso
se la prende con lei". La cavalla. Certo non con Federico l'amico che lo
sostiene da sempre. Tra cavallo e fantino c'è l'umiltà consapevole che tutto
dipenda da una collaborazione, da un'alleanza, al di là di ogni presunzione.
Una fedeltà reciproca. Federico dimostra di aver riposto grande fiducia in
questo cavallo su cui nessuno avrebbe scommesso. Con amore e dedizione lo ha
educato con la consapevolezza che non si impone la propria volontà al
cavallo e che fermezza non vuol dire brutalità. Lui quel cavallo lo ama
davvero, non può essere solamente un mezzo per soddisfare un divertimento o
per vincere una coppa, è un amico vero.
Una storia bellissima che commuove il mondo, soprattutto gli appassionati
dell'ippica, che vedono in questa storia un esempio e una grande lezione su
come sia possibile, per gli animali, ma anche per gli esseri umani, superare
i propri limiti in nome della voglia di vincere. Laghat ha vinto."
(D,Mastromattei)
http://iltemporitrovatodiantonella.blogspot.it/2012/03/la-favola-del-cavallo-cieco.html


martedì 20 marzo 2012

TESTIMIONIANZE DI PRE-MORTE - LA STORIA DI ANDREA E SILVIA



Oltre la vita: Testimonianze di pre-morte: la storia di Andrea

(di Lucia Pavesi)

Testimonianze autentiche di esperienze reali di persone dichiarate
clinicamente morte e poi tornate alla vita-come si identifica la pre-morte

De Vecchi Editore

°°°

LA STORIA DI ANDREA
Nome: Andrea Gatti
Nato a: Torino il 12/5/1936
Stato civile: Coniugato, padre di tre figli
Professione: Antiquario
Data dell'evento: 18/3/1989
Causa: Ulcera gastrica
Località: Torino
Conseguenze: Nessuna

Un sibilo acuto e improvviso mi scosse profondamente. Non ebbi, però, il
tempo di riavermi e di chidermi cosa stesse succedendo, perchè un nuovo e
strano rumore colpì le mie orecchie: assomigliava al suono di un gong
orientale. Lo strano è che quei rumori poco piacevoli non mi disturbarono
affatto, al contrario li trovavo familiari e amichevoli e mi lasciai andare
tranquillamente.

Allora un'onda calda mi travolse, trascinandomi in un vortice d'aria che mi
sospinse verso l'alto.

Ero in uno stato di beatitudine e, in assenza di gravità, volteggiavo,
sospeso come uno di quegli aeroplanini di carta che mi divertivi a costruire
a scuola, facendo infuriare la mia maestra.

Ho sempre amato il volo e fin da piccolo avevo accarezzato il sogno di
diventare un pilota di caccia. C'era la guerra allora ma, per quanta paura
mi facessero i bombardamenti, ero sempre l'ultimo a scendere nei rifugi.
Rimanevo fermo, con il naso in aria, cercando di scorgere attraverso le
dense nubi di fumo gli aerei che ci sorvolavano in formazione ordinata.

Molto probabilmente il mio gran desiderio di volare si sarebbe avverato, se
non fosse stato per lo stupido ma grave incidente che mi capitò all'età di
quindici anni.
Stavo costruendo l'ennesimo modellino d'aereo e, proprio mentre mi accingevo
con estrema cura a saldare due elementi della fusoliera una piccola scheggia
di ferro mi penetrò nell'occhio destro, ferendomi irrimediabilmente la
cornea. I miei genitori mi fecero visitare dai più illustri specialisti, ma
purtroppo nemmeno un intervento chirurgico riuscì a restituirmi l'uso
dell'occhio. Diedi così per sempre l'addio al mio luminoso avvenire di
pilota.

Passarono gli anni, ma l'amarezza di quel sogno infranto non mi abbandonò
mai. Il mio terribile orgoglio e la testardaggine fecero di più: per tutta
la mia vita mi rifiutai di salire su un aereo. Anche quando, per motivi di
lavoro, ero costretto a lunghi viaggi, sceglievo altri mezzi per viaggiare,
ma a nessuno avevo mai confessato il perché: preferivo che pensassero che la
mia fosse solo paura del vuoto.

In quegli istanti, invece, ero felicissimo: finalmente provavo la
meravigliosa sensazione tanto desiderata. Stavo volando come un novello
Icaro.

Provavo un unico desiderio: che si diradasse l'intensa nebbia da cui ero
circondato e che mi impediva di vedere sia dove mi trovavo, sia cosa stavo
sorvolando.
Appena formulato questo pensiero, tutto mi apparve nitido e chiaro. Ero
sospeso nella stretta area di una sala operatoria, asettica e sconosciuta.

Non potevo certo sbagliarmi: vedevo macchine collegate a strani tubi e
carrelli con ferri lucenti e ordinatissimi e le mie narici erano colpite
dallo sgradevole odore di disinfettante.

Mi guardai in giro piuttosto stranito: vidi quattro medici che indossavano
lunghi camici verdi e avevano il viso semicoperto da mascherine dello stesso
colore. Erano indaffaratissimi e rivolgevano ordini perentori alle tre
infermiere che li assistevano:

.....Bisturi... Forbici... Garze... Divaricatore... Tampone... Aspiratore...
Subito altro plasma... Presto, controllo pressione... In fretta.....

..Attenzione, il polso è sempre più debole, la pressione sta calando, il
paziente fatica a respirare.....

Quella voce apparteneva a un altro medico che, diversamente dagli altri,
stava seduto su un alto sgabello e aveva vicino a sé delle bombole rosse e
blu. Sembrava seriamente preoccupato e, a un certo punto, esclamò
agitatissimo:

..Il cuore ha smesso di battere... Adrenalina... In fretta... Via con gli
elettrostimolatori.....

Si avvicinò allora un altro medico, che fino a quel momento non avevo
notato; spingeva un apparecchio cui erano collegate delle piastre
metalliche, molto simili a piccole racchette da ping-pong.

Aveva qualcosa di familiare, tanto negli occhi quanto nel modo di muoversi;
mi ricordava qualcuno, ma non riuscivo a capire chi.

Non so spiegarmi il motivo della mia curiosità, ma tentai di attirare la sua
attenzione, perchè mi era sorto un dubbio.

Cercai di fare dei gesti, di chiamarlo: volevo dirgli che assomigliava molto
al mio amici Paolo, ma lui non mi vedeva né mi sentiva.

Era il più agitato di tutti e, come gli altri, si chinò sul lettino
operatorio su cui giaceva un corpo ricoperto quasi interamente da lenzuoli
verdi. Solo la zona dell'addome era scoperta e lasciava intravvedere una
larga e profonda ferita da cui usciva molto sangue.

Il volto del paziente era semicoperto da una mascherina nera di gomma, molto
simile a quella indossata dai piloti dei caccia dei miei sogni infantili.

Avevo l'impressione di conoscere anche quell'uomo inerte, ma non ne ero
sicuro. In quel momento udii dire:

..Emergenza... Emergenza... Il paziente non riprende... Cosa può essere
successo? Riproviamo! Subito altro ossigeno... Inutile... E'MORTO.....

A quel punto avevo ormai perso ogni interesse per quanto si stava svolgendo
in quel luogo; anzi, a dir la verità, ero piuttosto imbarazzato.

Mi sentivo un intruso che si trova in casa d'altri senza essere stato
invitato. O peggio, era come guardare dal buco di una serratura,
imperdonabile indiscrezione che non è più nelle mie abitudini da quella
volta che, sorpreso a spiare mia sorella in bagno, fui punito da un solenne
schiaffone da mia madre.

Decisi, allora, di allontanarmi da lì. Quella gente mi creava solo
confusione e disagio. Passai attraverso le due porte basculanti alla mia
destra, e mi trovai in un'altra stanza pressappoco delle stesse dimensioni
della prima.

Le pareti erano occupate da file ordinate di scaffali metallici su cui erano
allineate: lenzuola, bende e garze sterili; un paravento di plastica bianca
nascondeva un lavandino.

Al posto del tavolo operatorio c'era una scrivania metallica, dietro cui
sedeva un medico anziano che sfoggiava un imponente paio di baffi bianchi.
Stava bevendo un caffè e mostrava a un collega una radiografia appesa su un
quadro luminoso.

Per un istante fui tentato di segnalare loro che nell'altra stanza i loro
colleghi stavano lottando per una causa ormai persa, ma, essendo molto
discreto, decisi di non farlo e di proseguire.

Percorsi un lungo corridoio che aveva un pavimento di lucido linoleum verde
acqua ed era illuminato da una luce bianca al neon. In fondo, entrai in una
piccola stanza d'attesa che aveva un aspetto tranquillo, con qualche pretesa
d'eleganza. Tre persone erano sedute sulle poltroncine di pelle. ..Dove le
ho già viste?.. mi chiesi per un istante.

Tralasciai di darmi una risposta e mi limitai a osservarle da vicino:
parlavano con una signora bruna, visibilmente tesa, che fumava
accanitamente.

Un altro uomo, in piedi, con indosso uno sgualcito impermeabile bianco,
aveva il naso arrossato dal raffreddore e fissava con ammirazione i quadri
appesi alla parete. Mi volsi incuriosito da quella parte e scossi
decisamente la testa con disappunto: erano orribili, vecchie croste
riproducenti scene di caccia, volgari imitazioni dei grandi maestri del
Settecento. Potevo ben giudicare: da circa trent'anni facevo l'antiquario e
gestivo con grande soddisfazione un'importante casa d'aste, che faceva
affari in tutto il mondo. Ero animato da sentimenti contrastanti: da una
parte desideravo dare a quel signore una lezione di storia dell'arte,
dall'altra sapevo che non sarebbe stato né opportuno né educato. Mentre mi
soffermavo, incerto sul da farsi, mi sentii spingere sempre più in alto, o
meglio, venni lanciato come un razzo verso il vuoto assoluto. Sotto di me
vedevo ogni cosa rimpicciolirsi sempre più. Ero eccitatissimo e felice come
un bambino il giorno di Natale.

Davanti a me scorgevo un gran fascio di luce che mi veniva incontro a
velocità pazzesca. Più mi avvicinavo e più mi sembrava di accostarmi al
sole, ma i miei occhi non avvertivano alcun fastidio. Avanzavo, immerso in
un'atmosfera incandescente ed estremamente piacevole.

Infine, lentamente, la mia corsa rallentò, al punto da consentirmi di
distinguere, sotto di me, una grande e bellissima distesa verde piena di
alberi da frutto e fiori multicolori.

Quando toccai terra, venni circondato da una grande folla di gente festosa
che intonava una melodia dolcissima. Tutti avevano un aspetto sereno e dai
loro volti emanava uhna luce d'amore tanto intensa da non poter essere
descritta.

In loro compagnia cominciai a visitare quel luogo paradisiaco. Incontrai
persone care che avevo conosciuto e amato; e riconobbi i miei nonni, gli zii
e alcuni amici e conoscenti. Camminavano tenendosi per mano e mi
sorridevano. A un certo punto si scostarono aprendo un varco e permettendomi
di distinguere la figura di mio padre, che mi abbracciò con tenerezza
infinita.

Commosso e sbalordito, notai come mio padre si muovesse ben eretto sulla
persona. Strano davvero, perché a causa di una grave ferita riportata nel
secondo conflitto mondiale, era stato costretto a trascorrere gran parte
della vita su una sedia a rotelle. Gli chiesi come era potuto accadere quel
prodigio e lui, sorridendo mi disse:
..Caro figlio, in questo mondo meraviglioso tutto è perfetto, perché così
permette e vuole la Luce. Qui non esistono le sofferenze terrene e le tracce
degli errori passati vengono cancellate per sempre. Prova a coprirti con la
mano l'occhio sinistro e ti accorgerai che riesci a vedere ugualmente bene.
Noi siamo in grado di percepire e captare ogni particolare senza bisogno di
ricorrere all'uso dei cinque sensi...

..Papà.. chiesi, ..cos'è esattamente questa Luce? Io non capisco...

..La Luce è il bene infinito, è l'amore supremo, fonte di ogni vera gioia e
delizia. Figliolo, nella vita terrena non sempre si dà il giusto significato
alle proprie azioni. Molto spesso non si comprende l'esatto insegnamento e
il valore degli avvenimenti e delle esperienze che si vivono.

..Quando giungiamo qui, vediamo la Luce, entriamo in essa, possiamo
comprendere l'assurdità di certi nostri comportamenti, avvertiamo il peso
della nostra egoistica ignoranza. Ritroviamo il sapore e il significato dei
piccoli gesti quotidiani, cui non avevamo mai dato importanza, come veder
nascere un fiore, aprire una finestra in un mattino d'estate, assaporare il
pane appena sfornato o veder sorridere qualcuno a cui abbiamo teso una mano.

..Arriviamo finalmente a comprendere come l'unica cosa che veramente abbia
peso e importanza sia l'amore universale. Questo è l'unico sentimento in
grado di farci pervenire alla pace e alla felicità e.....

..Papà, perché ti sei interrotto? Voglio sapere altre cose..... Mentre
pronunciavo quelle parole, una luce vivissima mi investì e una voce lontanna
m'indusse a giardare fisso di fronte a me. Il "film" della mia vita scorreva
velocemente davanti ai miei occhi. Rividi luoghi ed episodi dimenticati,
ritrovai volti del mio passato e finalmente capii cosa mio padre intendesse
spiegarmi.

Mi voltai commosso verso di lui e gli espressi la mia intenzione di rimanere
per sempre in quel luogo. Non desideravo affatto tornare giù, ritrovare il
dolore, l'imbarazzo e la vergogna che avevo provato nel rivedere la mia
esistenza. ..Andrea, il tuo tempo non è giunto a termine, il tuo cammino si
deve ancora svolgere: perciò devi tornare tra i mortali. E'stato concesso a
me di accompagnarti e sollecitarti in tal senso...

Per un istante riprovai la stessa delusione di quando a quindici anni avevo
visto infrangersi il mio sogno infantile, ma ora avevo imparato ad accettare
quanto il destino aveva in serbo per me.

Mentre mio padre pronunciava quelle parole, mi sentii calare dolcemente, ma
decisamente, verso il basso. La mia discesa non fu veloce come la salita, ma
presto mi ritrovai nella stanza d'attesa dell'ospedale da cui ero partito
per quel viaggio straordinario.

Riconobbi subito la signora bruna che poco prima fumava nervosamente: era
mia moglie e piangeva senza ritegno tra le braccia dell'uomo
dall'impermeabile sgualcito.
L'osservai incuriosito: ma certo, non poteva essere che mio cognato, che di
arte non aveva mai capito nulla! Le altre persone presenti erano i miei
migliori amici.
..Cosa fanno qui? Come mai Liliana è così disperata, con i capelli in
disordine e una calza smagliata?..

In quell'istante entrò il mio amico Paolo che indossava ancora il camice
verde da sala operatoria. Tentando disperatamente di nascondere la
commozione dietro l'aria professionale, comunicò loro il mio decesso.

Allora era proprio lui il medico che poco prima avevo creduto di conoscere!
Che strano!...Ma cosa stava dicendo? Mi sentivo confuso; poi tutto mi tornò
chiaro nella mente: ..Quel corpo disteso sul lettino operatorio sono io!..
pensai. La ferita aperta che avevo visto, era stata praticata sul mio
addome. Ma certo! Come avevo potuto dimenticare? Io ero entrato in ospedale
qualche giorno prima per sottopormi a un intervento allo stomaco. Paolo mi
aveva garantito la sua presenza e ora...
Ora devo trovare il mio corpo al più presto! Devo affrettarmi, perchè so di
essere ancora vivo.

Un raggio di sole penetrò sotto le mie palpebre chiuse; mi svegliai
indolenzito e ancora stralunato, quando sentii mia moglie chiamarmi:
..Andrea, Andrea, sei sveglio! O caro, è un vero miracolo. Non sai che
spavento ci hai fatto prendere...

..Invece lo so benissimo, anzi ti posso raccontare ben di più, cara Liliana.
Ma prima sistemami meglio questi cuscini, sto scomodissimo...




Oltre la vita: Testimonianze di pre-morte: la storia di Silvia

Tratto da "Oltre la vita"

di Lucia Pavesi"

Nome: Silvia Bruschi
Nata: Milano il 23/4/1946
Stato civile : Nubile
Professione: Fotomodella
Data dell'evento: 16/8/1975
Causa: Incidente stradale
Località: Parma
Conseguenze: Trauma cranico, ferite multiple al volto, paresi arto superiore
Professione attuale: Assistente sociale
Stato civile attuale: Coniugata, madre di due figli

L'ovatta grigia che mi imbottiva la testa si andava assottigliando, mentre
riprendevo lentamente coscienza del mio corpo. Luci fredde e azzurrognole,
come punte di spilli incandescenti, penetrando attraverso le garze che mi
coprivano le palpebre, mi ferivano in modo insopportabile gli occhi.

Odori sgradevoli e strani colpivano il mio olfatto non ancora del tutto
risvegliato mentre rumori attutiti e sconosciuti si facevano largo nei miei
poveri timpani.
Con curiosità crescente mi domandavo cosa stesse succedendo e quale incubo
terribile stessi vivendo. I dolori lancinanti che avvertivo in tutto il
corpo, però, mi diedero presto la certezza che questa era la realtà:ma
quale?

Per non so quanto tempo cercai di riordinare le idee e trovare la risposta
giusta che mi spiegasse dove mi trovavo, cosa mi stesse succedendo e
sopratutto chi fossero le persone intorno a me.

A me? Ero davvero io quello strano ammasso dolorante e massacrato disteso in
quel letto stretto e freddo? Facendo appello alle poche risorse che mi
restavano e attingendo a non so quali energie, riuscii ad afferrare strani
brandelli di conversazione:

.....Altro sangue, in fretta.....
.....Controllo pressione, presto.....
..Suturare!.....
.....Respirazione alterata...pressione in calo...polso debolissimo...arresto
cardiaco!.....

Non riuscii ad ascoltare altro, poichè improvvisamente udii un unico rumore
forte e acuto, del tutto simile al fischio di un treno che si avvicinasse e
mi trovai avvolta dal buio assoluto.

Mi sentivo risucchiare in un vortice di aria calda: non avevo paura; al
contrario, avvertivo una sensazione eccitante molto simile a quella provata
a otto anni, quando per la prima volta mio fratello mi aveva accompagnata a
visitare il "castello delle streghe" al luna park.

Gradualmente le tenebre si diraradarono, lasciando il posto a una luce
dorata e morbida, che mi avvolse facendomi sentire sicura e protetta come
nel grembo materno.
Non più dolori, non più stordimento e curiosità, solo un grande senso di
pace e d'amore: la parte più intima di me si era allontanata non sopportando
più lo strazio del mio corpo ferito.

Mi lasciai andare alla nuova piacevolissima sensazione galleggiai nel vuoto
di luce, osservando dall'alto ciò che accadeva quella che seppi in seguito
essere una sala di rianimazione.

Vedevo apparecchiature munite di tubi, tante luci rosse, blu e verdi e
carreli con medicinali e disinfettanti, ma rimasi particolarmente colpita
dal grande orologio bianco appeso sulla parete davanti al mio letto: la
lancetta più corta segnava la tre e la più lunga toccava il numero quattro.

Intorno ame potevo distinguere medici e infermieri dall'aria seria e
preoccupata che, con perizia, usavano i più strani macchinari per tenere in
vita un corpo che ormai in vita sembrava non esserci più.

Li osservavo applicare, con provata abilità, strani dischetti metallici sul
petto nel quale il cuore aveva cessato di battere.

In quel momento ero particolarmente stranita vedendo il mio corpo sobbalzare
in modo grottesco ogni volta che da quegli strani dischi uscivano scariche
elettriche.
Altri medici si affannavano intorno alla mia povera testa, cercando di
suturare e tamponare le numerose ferite che deturpavano quello che era stato
il mio viso.
Raccontandolo oggi, mi sembra un paradosso ammettere di essermi divertita
osservando quanta cura mettessero in quell'operazione senza, però, aver
individuato la vera fonte dell'emorragia che mi stava uccidendo.

Avrei voluto aiutarli e consigliare loro di tagliarmi gli abiti che
indossavo ancora e che nascondevano una profonda lacerazione dell'arteria
omerale.
Tentai con tutte le mie forze di fare dei cenni, di entrare in ogni modo in
comunicazione con loro, provai ad allungare le mani per toccarli, ma ogni
tentativo fu vano: non potevano né vedermi né sentirmi.

Comunque devo riconoscere di aver rininciato molto presto a ogni tentativo:
mi sentivo talmente bene da non provare alcun desiderio di rientrare in
quell'involucro strano e ormai sconosciuto.

Non mi è possibile quantificare in modo preciso il tempo in cui rimasi a
galleggiare nella stanza. A un certo punto mi vidi scendere dal letto,
camminare sul linoleum candido, aprire la porta a vetri e uscire nel lungo
corridoio illuminato da un anonimo neon. Vi erano due panche di freddo
metallo appoggiate alla parete e una scrivania dietro la quale sedeva
un'infermiera dai capelli grigi.

Raggiunta l'uscita dell'ospedale, mi sentii trascinata da una forza
sconosciuta lontano lontano: iniziò così per me uno straordinario e
incredibile viaggio.

In principio incontrai una folla di persone sconosciute e sorridenti. Iloro
volti erano soffusi di serenità e, tenendosi per mano, camminavano su un bel
prato fiorito.
Avrei desiderato fermarmi a parlare con loro, ma non mi fu concesso di
arrestare il cammino. Poi, inaspettatamente , attraverso una luce di nube
più intensa, vidi apparire il volto dolce e tanto caro di mia nonna. Allora,
percependo la mia completa libertà, le corsi incontro felice, come facevo da
piccola ogni volta che veniva a trovarci.
Anche se era morta da 10 anni, ritrovai in lei le stesse sembianze e lo
stesso amore di allora.

L'abbracciai e le chiesi di tenermi con sé per sempre: lì mi sentivo in pace
come non mi era mai capitato e non avevo alcuna intenzione di tornare a
soffrire.
La nonna mi sorrise, ma con affettuosa fermezza mi respinse, dicendo che non
potevo rimanere con lei. Il mio cammino non rea ancora giunto al termine:
precisi doveri mi attendevano e avevo nuovi compiti da svolgere.

Fui allora ricacciata indietro e il vortice caldo mi riportò al punto di
partenza.

Ero nuovamente sospesa a circa trenta centimetri dal mio corpo disteso e
potevo avvertire tutto il trambusto che avveniva intorno al mio letto.
Medici e infermieri si scambiavano occhiate d'intesa, scrollando la testa
rassegnati.

Uno di loro, in particolare, attirò la mia attenzione: era il più giovane e
con la sua corporatura eccezionale sovrastava gli altri. Inoltre, indossava
un'orribile cravatta a fiori gialli. In quell'istante percepii,
inequivocabilmente, queste parole: .....inutile tentare ancora; la paziente
è morta; staccate il respiratore!..

Una disperazione infinita e una rabbia feroce mi sopraffecaro: io ero
ancora, volevo essere ancora! Quel corpo massacrato e dolorante ora non mi
era più sconosciuto: ero io!

Sapevo di non essere morta, me lo aveva detto la nonna: adesso non provavo
più il desiderio di morire; al contrario, mi sentivo disposta a sopportare
tutto: ma che cosa potevo fare?

Ormai si stavano allontanando tutti. Solo il "mio dottore" si attardava
ancora vicino a me. Non so come, trovai la forza di muovere lentamente il
mignolo della mano destra, poi precipitai nel vuoto assoluto.

Come mi raccontò successivamente mio padre, il mattino dello stesso giorno
venni trasferita in un ospedale di Milano, più attrezzato per le cure
necessarie alla gravità del mio stato.

Là fui sottoposta a numerosi e delicatissimi interventi chirurgici per
riparare i terribili danni riportati tanto al viso, quanto al braccio.

Rimasi in coma per circa un mese e al mio risveglio mi trovai circondata da
visi sconosciuti che mi scrutavano con ansia e timore. Purtroppo li grave
trauma cranico mi aveva provocato un'amnesia totale: non ricordavo chi fossi
e non riuscivo a riconoscere i miei cari.

Passarono per me lunghe settimane di vuoto , prima che potessi comprendere
di essere stata coinvolta in un grave incidente stradale che mi era quasi
costato la vita.
Dai verbali della polizia seppi che alle ore 23,46 del 16 agosto la mia
autovettura era stata tamponata da un TIR ed era uscita di strada.

Cercai faticosamente di rammentare come si fossero svolti i fatti, ma ogni
sforzo mi causava terribili emicranie che mi impedivano di continuare;
eppure volevo sapere; in fondo alla mia mente sconvolta avevo la sensazione
di aver vissuto qualcosa di molto importante, ma che cosa?

A poco a poco, grazie alle cure appropriate, brandelli dell'accaduto si
ricucirono nella mia mente.

Rividi la lunga e monotona strada grigia, battuta da un forte temporale, e
comincia a risentire il terribile rumore di metalli che cozzavano, tanto
violento e presente da poterne riavvertire il sapore in fondo alla gola. Ma
i miei ricordi si fermavano qui.

La mia fu una convalescenza lunga e molto dolorosa, però non era la paura
delle medicazioni a sconvolgere il mio sonno, ma l'incubo terribile e senza
volto di cui cadevo preda ogni notte, regolarmente alla stessa ora: le 3 e
20.

Per quanti tranquillanti e sonniferi ingurgitassi, a quell'ora mi svegliavo
in un bagno di sudore, con la netta sensazione di venire sepolta viva.

Cercai di parlarne ai medici, ai parenti, chiesi conforto agli amici, ma
tutti mi rispondevano:

..E'solo una conseguenza dello shock che hai subìto. Non pensarci più e
vedrai che con il tempo scompsrirà tutto. Abbi pazienza e dimentica...

Accettai il consiglio, smisi di parlarne e tentai di non pensarci più.

Stranamente mi sentivo particolarmente remissiva e accondiscendente: davvero
una bella differenza per chi mi aveva conosciuta prima dell'incidente!

Fino ad allora ero vissuta nella convinzione che mi bastasse possedere una
bella figura, un viso fotogenico e una buona cultura per avere in mano il
mondo. Non avevo mai faticato troppo per soddisfare i miei capricci: i miei
genitori mi avevano amata molto e altrettanto viziata, cercando di
allontanare dalla mia strada ostacoli e pericoli: la fortuna aveva fatto il
resto.

In un istante la vita mi aveva presentato il conto, e questo era decisamente
"salato".

Fu difficile accettare il viso che lo specchio rifletteva. Ero cambiata
tanto, ma non solo nei lineamenti: era soprattutto l'espressione degli occhi
a disorientarmi. In essi, oltre ai segni della sofferenza, leggevo una
serenità e una determinazione mai conosciute prima.

Mi sentivo disorientata e incerta, perché il mio stato fisico mi imponeva un
diverso modo di vivere, ma nello stesso tempo nasceva in me una volontà più
forte e matura.
Gli eventi della vita cominciarono ad apparirmi in una luce nuova e scoprii
valori più veri e concreti, lentamente, mutamenti profondie radicali
incisero la mia personalità.
Era giunto il tempo di chiudere con la mia vita sconclusionata, trascorsa
rifuggendo tutte le responsabilità. Decisi di ultimare gli studi abbandonati
per capriccio e cominciai ad accarezzare il sogno di sposarmi per avere una
famiglia mia.

Il mio nuovo modo di vivere lasciò i miei amici piuttosto sconcertati.
Chiusi i rapporti con quasi tutte le sofisticate conoscenze del passato e
iniziai a frequentare persone che sapevano ridere, piangere e vivere senza
bisogno di illusorie apparenze.

I miei genitori mi guardavano con una certa aria di sospettoe, pur
apprezzandomi e volendomi bene, faticarono molto ad adeguarsi al mio nuovo
modo di pensare e di agire.

Ero diversa, ero più felice, più libera. Eppure continuavo a non sentirmi
completamente tranquilla: in fondo a me stessa avvertivo un'incertezza senza
nome, qualcosa che continuava a mancarmi, una nota stonata che rovinava
l'armonia della mia nuova immagine, qualcosa di nascosto che dovevo
finalmente ritrovare.
I miei incubi dovevano avere una spiegazione,le mie strane sensazioni
dovevano aver un senso e decisi di trovare il bandolo della matassa a
dipetto di quanti volevano che, per il mio bene, smettessi di tormentarmi.

Ricomposi il "puzzle" circa un anno e mezza più tardi. Nel giugno del 1977
fui invitata da amici a trascorrere una vacanza nella loro fattoria sulle
colline du Fidenza.Una sera andammo a ballare in un elegante locale della
zona.

Mi sentivo particolarmente bene e ero decisa a divertirmi, nonostate la
permanente sensazione di incompletezza che continuava a tormentarmi.

A un certo punto della serata mi fu presentato un "tizio" dalla mole
veramente notevole e dall'aria vagamente familiare.

Fui travolta da una miriade di strane sensazioni: i battiti cardiaci
accelerarono al massimo e nella testa avvertii fastidiosi ronzii, simili a
uno sciame d'api impazzito. Tralasciando ogni forma d'educazione,
monopolizzai l'attenzione di quel signore e iniziai a interrogarlo con
insistenza.

Mi disse di essere un medico ortopedicoe di lavorare presso l'ospedale di
Parma. Per soddisfare le mie incalzanti richieste, mi raccontò alcuni
episodi dolorosi a cui aveva assistito, particolarmente durante il suo
periodo di internamento presso il Pronto soccorso.

Bevevo le sue parole, ma non riuscivo a spiegarmi il vero motivo della sua
curiosità. Mi sentivo sdoppiata: una parte di me aveva sete di quelle storie
poco divertenti, mentre un'altra cercava invano di limitare quel fuoco di
domande così poco opportune, per il momento e il luogo.

A un certo punto gli chiesi di portarmi a fare un giro in automobile. Non
potrò mai descrivere la sua espressione stupita quando sentì la mia
richiesta che somigliava a un ordine. ..Ti dispiace accompagnarmi
all'ospedale di Parma? Voglio andarci!..

Erano le due e mezza del mattino, il mio stato di salute era perfetto, ma si
lasciò facilmente convincere.

..Unicamente perchè avevi la faccia stravolta...Non sembravi più la stessa
persona!.. mi confessò più tardi.Ed effettivamente ero diversa: mi sentivo
invasa da una smania irrefrenabile e dalla netta sensazione che finalmente
avrei trovato la parte mancante dei miei ricordi, la parte mancante di me
stessa, la causa dei miei incubi.
Scesa dalla macchina, entrai decisa nell'ospedale, che non conoscevo e non
potevo aver mai visto. Senza esitazione, percorsi il corridoio che conduceva
alla sala di rianimazione e improvvisamentte mi tornarono alla memoria tutti
i particolari della tragica notte del 16 agosto 1975.

Davanti a quella porta a vetri chiusa mi girai verso il mio medico e gli
dissi:

..Quella notte di ogosto c'eri tu vicino a me, lo ricordo bene! Erano le tre
e venti, mi avevate dichiarata morta, ma io stavo solo facendo un bellissimo
viaggio nella luce,da cui, come vedi sono ritornata. Fisicamente non sei
cambiato molto, ma noto con piacere che hai migliorato il tuto gusto nel
vestire! La cravatta di quella notte era davvero orribile!...

Ci sedemmo su una panca e gli raccontai tutto quello che avevo visto,
sentito e vissuto durante la mia esperienza. Mi subissò di domande e mi fece
ripetere mille volte tutti i singoli particolari.

Comprendevo facilmente come potesse pensare di avere davanti una mitomane
ma, via via che enumeravo i dettagli più precisi e soprattutto quando gli
descrissi nei minimi particolari: la disposizione della sala di
rianimazione, il colore del pavimento e il nome di alcuni farmaci che mi
avevano somministrato, cominciò a guardarmi con altri occhi.

Aveva letto parecchie riviste mediche americane che riportavano
testimonianze simili alla mia, ma raccoglierne una personalmente era
senz'altro più avvincente.
Ora era lui a bere le mie parole e, più che mai incuriosito, volle che gli
illustrassi le mie sensazioni...Ma come hai potuto vedere e udire tuto ciò
proprio mentre tentavamo di riattivarti il cuore?..Gli spiegai che le mie
non erano state visioni nel senso materiale della parola, ma percezioni
chiare della preoccupazione dei medici che mi circondavano. Senza ricorrere
all'uso dei cinque sensi, riuscivo a captare i loro pensieri, a udire le
loro parole, a vedere i loro gesti. Nello stato in cui mi trovavo non
esisteva il concetto di tempo reale, ma tutto si svolgeva
contemporaneamente.

Era come trovarsi a teatro e assistere a una rappresentazione in cui diverse
scene vengono recitate in varie parti del palcoscenico.

..Quindi, non provavi nessun dolore, non avevi nessuna paura?.. mi chiese
sempre più accalorato e incuriosito.

Sorridendo, lo rassicurai di essermi sentita immersa nella più assoluta
serenità e pace.

L'unico momento di autentico terrore lo avevo vissuto quando, costretta a
rientrare nel mio corpo, avevo avvertito affermare dai medici che, falliti i
tentativi di rianimazione, per me era finita.

..Quindi, come vedi, devo ringraziarti. Mi sei stato vicono il tempo
sufficiente per dimostrare che, dopo essermi allontanata, avevo ripreso
possesso del mio corpo....
Alla fine gli chiesi:

..Scusa, ma l'infermiera con i capelli grigi che quella notte era seduta
alla scrivania là in fondo, lavora ancora in questo ospedale? Mi piacerebbe
tanto salutarla...
Mentre lasciavo liberamente correre i miei ricordi, mi sentivo invadere da
una ritrovata tranquillità. Ora avevo tutte le risposte. Finalmente sapevo
che l'incontro con la Luce, con quegli esseri sconosciuti e pieni d'amore,
era all'origine del radicale mutamento del mio modo di vivere e di pensare.

Ero cosciente che il mio ritorno era stato deciso dalla volontà superiore,
che si era espressa attraverso mia nonna.

Da quel giorno di giugno del 1977 posso dormire tranquillamente senza più
timore di essere svegliata da quel terribile incubo.

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"Oltre la vita"

- di Lucia Pavesi -


"IL PARERE DEGLI STUDIOSI - prima parte"

°°°

COS'E'UN'ESPERIENZA DI PRE-MORTE

Lo studio di questi fenomeni è stato avviato in modo sistematico
dalla'americano RAYMOMD A. MOODY, di cui parleremo più diffusamenre nel
prosimo capitolo. A questo scienziato spetta l'indiscusso merito di aver
portato l'argomento all'attenzione del grande pubblico.

Dopo la pubblicazione del suo primo libro, ""La vita oltre la vita" (1975),
in cui ha raccolto parecchie testimonianze di "sopravvissuti, sempre più
numerosi sono stati gli studiosi che hanno avviato sistematiche ricerche in
questo campo.

Moody ha coniato l'espressione: NEAR DEATH EXPERIENCES "esperienze di
pre-morte" e nel suo testo "Nuove ipotesi sulla vita oltre la vita" (1977)
dà questa definizione:

"Si potrebbe definire 'esperienza di pre-morte'qualsiasi esperienza conscia
e percettiva che abbia luogo durante un 'incontro con la morte'. Incontro
con la morte può, a sua volta, venir definito un avvenimento nel corso del
quale la persona interessata rischia seriamente di morire o di venire uccisa
(talvolta al punto di venire dichiarata clinicamente morta) ma sopravvive e
continua la sua vita fisica".

Secondo la specifica classificazione di Moody, esistono particolari
caratteristiche che compaiono tutte o in parte in ogni testimonianza di
pre-morte.

INCERTEZZA E INCOMUNICABILITA'

Non tutti coloro che vivone questa esperienza sono consapevoli di trovarsi
davanti alla morte e, provando stupore e paura, si domandano: ..Cosa mi sta
succedendo?..
Riuscendo, comunque, a percepire sensazioni e pensieri dei medici o di
quanti li circondano, tentano inutilmente di comunicare con loro, di
chiedere spiegazioni o di avere un contatto fisico.

Il racconto dell'esperienza di Fiorella è molto chiaro in proposito (vedi
pag. 55):

"...Cercai con tutte le mie forze di prendere a calci l'infermiere che mi
stava più vicino, ma il mio piede toccò solo l'aria"".

Silvia tenta di parlare con loro, per fornire importanti indicazioni (vedi
pag. 15):

"...Avrei voluto aiutarli e consigliare loro di tagliarmi gli abiti che
indossavo ancora e che nascondevo una profonda lacerazione dell'arteria
omerale. Tentai con tute le mie forze di fare dei cenni... ma ogni tentativo
fu vano: non potevano né vedermi né sentirmi"".

Alcuni provano addiritturA vergogna nel vedere il proprio corpo. Anna
racconta (vedi pag, 72):

"...ma non avvertivo né dolore... solo un certo imbarazzo per la
disposizione dei lenzuoli verdi, che nettevano in evidenza la nudità delle
mie parti intime".

Altri, invece, stentano a riconoscersi. La testimonianza di Andrea (vedi
pag. 108) ne è un chiaro esempio:

"Avevo l'impressione di conoscere quell'uomo inerte, ma non ne ero sicuro".
E aggiunge: "...Mi sentivo un intruso che si trova in casa d'altri..."

Ma, passato il primo istante di incertezza, la stragrande maggioranza dei
"sopravvissuti" ha dichiarato di aver provato uno stato di beatitudine, nel
quale tutto è chiarezza e consapevolezza..

SCOMPARSA DEL DOLORE FISICO

Nel preciso istante in cui il morente percepisce cosa gli sta accadendo, non
prova più alcuna sofferenza.

Chi ha vissuto un'esperienza di pre-morte dichiara di aver provato un
immenso sollievo nel momento in cui ha abbandonato il proprio corpo.

Qualunque sia la causa determinante lo stato in cui viene a trovarsi, il
dolore fisico scompare completamente. La testimonianza di Fabio (vedi pag.
31) fornisce un chiaro esempio di quanto dichiarato:

"...Provavo un dolore lancinante alla testa e la parte sinistra del mio
corpo sembrava immersa nelle fiamme dell'inferno... Di colpo...non provavo
alcun dolore, ma solo una piacevole sensazione di leggerezza..."

USCITA DAL CORPO

Generalmente questa fase interviene nel preciso momento in cui il paziente
viene dichiarato morto. Allora, si sente uscire dal proprio corpo e prova
una sensazione simile a quella di togliersi un abito. In seguito si può
librare nell'aria, sfuggendo alla legge della gravità.

Vede chiaramente se stesso e tutti i tentativi di rianimazione che i medici
attuano. Francesca (vedi pag. 41) dice:

"...Volteggiavo sospesa nell'aria ... Guardai incuriosita i monitor
collegati al mio cuore: emettevo un sibilo acuto e sinistro, mentre
mostravano una linea perfettamente retta. Avvertivo lo sbigottimento di
quanti mi circondavano..."

Qualcun altro racconta di essersi spostato in altri luoghi e di aver visto
posti e persone conosciute o no, ma di cui fornisce una perfetta
descrizione.

"...A un certo punto mi vidi scendere dal letto, camminare sul linoleum
candido, aprire la porta a vetri e uscire nel lungo corridoio... Vi erano
due panche di freddo metallo... e una scrivania dietro la quale sedeva
un'infermiera dai capelli grigi..." Così dice Silvia nella sua testimonianza
(vedi pag. 16).

Ancora più emblematico è il racconto di Andrea (vedi pag. 109):

"...Entrai in una piccola stanza d'attesa... Tre persone erano sedute sulle
poltroncine di pelle... una signora bruna, visibilmente tesa, che fumava
accanitamente. Un altro uomo, in piedi, con indosso uno sgualcito
impermeabile bianco, aveva il naso arrossato..."

Chi ha vissuto questo genere di esperienza concorda nell'affermare di non
essersi sentito ridotto solo a un residuo astratto di coscienza. L'insieme
delle sensazioni provate era così completo da dargli l'impressione di
possedere un altro corpo, anche se diverso nella sostanza da quello fisico.
La forma spirituale sembrava composta da una sagoma completa di gambe e
braccia, ma impossibile da descrivere nel suo reale contenuto. La maggior
parte delle testimonianze parla di un "campo energetico" dai colori
indefinibili.

Scompare completamente il concetto di tempo reale: nessuno è stato in grado
di quantificare la durata dell'esperienza. Cadendo i confini dello spazio
fisico, il paziente può spostarsi da un luogo a un altro semplicemente
desiderandolo.

PASSAGGIO DALLA ZONA BUIA ALLA LUCE

Successivamente, il morente avverte una forte spinta verso il vuoto assoluto
e viene avvolto da un vento caldo. Generalmente, questo momento è preceduto
o accompagnato da un rumore partivolare e forte: un sibilo, un ronzio, un
botto, un gong e così via.

Solitamente, la prima parte del viaggio è compiuta nell'oscurità
nell'oscurità totale e ciò ingenera timore e confusione, sentimenti questi
che scompaiono alla vista di una "luce meravigliosa".

La grande maggioranza delle testimonianze raccolte racconta che il passaggio
dalle tenebre alla luce avviene percorrendo uno stretto tunnel o una
galleria immersa nella nebbia. Altri, invece, parlano di caduta in un buco
nero (vedi la storia di Fabio a pag. 32).

"... Allora una forza sconosciuta mi trascinò in un tunnel oscuro e il vento
caldo mi avvolse completamente".

Paolo, invece, dice (vedi pag 119):

"... fui scosso da un rumore... che somigliava molto al suono dei tam-tam
nella jungla. Di colpo mi sentii risucchiare entro un vortice di vento
caldo... verso una galleria stretta, di cui non si intravvedeva l'uscita..."

Altri hanno descritto in modo molto diverso questo passaggio. Qualcuno ha
dovuto salire una scala, oppure è stato proiettato, a immensa velocità,
dalle tenebre alla luce. Alcuni raccontano di aver ettraversato, durante il
viaggio, una porta o un cancello (vedi La storia di Stefano a pag. 90).

"... Il cammino mi fu, per un attimo, ostruito da un pesante portone scuro
che si aprì subito al mio arrivo.
Entrai in un luogo pieno di colori e di pace."

INCONTRO CON ENTITA'SPIRITUALI

Dopo avere attraversato le tenebre, il morente si trova in un luogo
fantastico, illuminato da una luce così viva da non poter essere descritta a
parole, e in cui ode melodie e canti soavi. Il paesaggio ha diverse
varianti: prati verdi, fiori profumati e multicolori, immensi parchi, alte
montagne, città fiabesche, limpidi ruscelli, e altro (vedi ancora la storia
di Paolo sempre a pag. 119).

"... camminavo su un prato veredissimo, sulla cui superficie sorgevano
palazzi incredibilmente alti e di una luminosità quasi accecante... Dovunque
l'organizzazione era perfetta: viali alberati, fontane zampillanti e
modernissimi edifici costruiti perfettamente..."

Quasi tutti raccontano di aver incontrato, durante ilo cammino, varie entità
luminose e sorridenti che li hanno accolti con grande amore. Queste entità
emanano una stupefacente luminescenza, molto più splendente di qualsiasi
fonte luminosa terrestre e hanno il compito di far da guida, da consiglieri,
di accompagnare la persona verso la Luce suprema e, in certi casi, di
aiutarla a ritornare nel mondo dei vivi.

Generalmente, sono amici scomparsi o parenti del morente, ma possono essere
anche dei semplici sconosciuti. Andrea (vedi pag. 110) ricorda:
"... venni circondato da una grande folla di gente festosa che intonava una
melodia dolcissima. Tutti avevano un aspetto sereno e dai loro volti emanava
una luce d'amore tanto intensa da non poter essere descritta".

La sensazione provata è quella di essere entrati in contatto con l'amore
universale. La sensazione resta nel "sopravvissuto" anche dopo il ritorno
alla vita e spesso lo porta a modificare il suo modo di vivere e di condurre
i rapporti con il prossimo.

INCONTRO CON L'ESSERE DI LUCE

A questo punto, alcuni raccontano di aver incontrato un Essere Supremo, il
cui splendore soprannaturale è inesprimibile e la cui luce è superiore, per
intensità, a quella di tutti gli altri.

Subito dopo l'apparizione, l'Essere entra in comunicazione con il morente,
trasmettendo telepaticamente il proprio oensiero, senza utilizzare suoni,
gesti o parole.
Dalla Luce emanano calore, comprensione e amore infiniti. Vari sono i
tentativi di identificare l'Essere, in base alle convinzioni religiose dei
"resuscitati".

I cristriani spesso lo identificano con Dio Padre o Gesù Cristo, i buddisti
con Buddha, i mussulmani con Allah e così via. L'incontro con l'Essere
comporta una profonda e critica autoanalisi della propria esistenza terrena,
che scandaglia i recessi più nascosti della coscienza. Tutto ciò avviene
attraverso un riesame completo della propria vita (vedi la storia di Andrea
a pag. 111).

"... una luce vivissima mi investì e una voce lontana m'indusse a guardare
fisso di fronte a me. Il "film" della mia vita scorreva velocemente davanti
ai miei occhi."

L'ESAME DELLA PROPRIA VITA

Chi ha vissuto questo tipo di esprienza afferma di aver rivisto proiettare
contemporaneamente, come su un grande schermo, le azioni compiute,
dall'infanzie al momento presente.

Le immagini sono straordinarie vivide, a colori, tridimensionali e in
movimento (vedi La storia di Anna a pag. 78).

"... attraverso una sottile nube di nebbia, rividi tutta la mia vita...
Tutto scorreva fluidamente nella mia mente, in cui non esistevano più il
concetto di passato o di futuro, ma ogni evento era solo presente..."

Lo scopo dell'esame è quello di raggiungere una maggiore consapevolezza dei
propri doveri e responsabilità.

Il toccante racconto di Fabio spiega perfettamente questo delicato momento
del viaggio (vedi a pag. 32).

"... vedevo le mie azioni, le persone che avevo ferito e fatto gioire,
captavo ogni sfumatura dei loro sentimenti ...La paura, l'amore, l'odio, lo
sgomento, l'abbandono, la violenza, la generosità. il perdono che... avevo
suscitato... ora erano dentro di me: IO ERO DENTRO GLI ALTRI... Vidi mio
padre, mia madre, ne compresi i sentimenti, capii..."

La persona che ha vissuto questa fase riporta con sè un nuovo desiderio di
conoscenza e uno spirito di maggiore solidarietà e amore.

LA RILUTTANZA A TORNARE

Il viaggio meraviglioso verso la luce è talmente dolce e pieno d'amore, che
spesso i morenti dichiarano di non aver provato alcun desiderio di tornare
nel mondo (vedi sempre la storia di Fabio a pag. 33).

"... Non volevo più tornare indietro! Chiesi alla Luce di fermarmi in quella
pace, ma il peso della responsabilità... chiedeva il giusto riequilibrio..."

Alcuni raccontano di averlo dovuto fare per espresso ordine dell'Essere di
Luce (vedi La storia di Luca alle pagg. 66 e 67).

"... Qui hai imparato a respirare l'amore universale... Cerca di
trasmetterlo... I tuoi compagni... possono riposare... Tu, ora, girati e
vai!"

Altri ricordano di aver ricevuto l'ordine da un parente o da un amico.
Silvia (vedi pag. 16) racconta:

"...L'abbracciai e le chiesi di tenermi con sé per sempre... La nonna mi
sorrise, ma con affettuosa fermezza mi respinse, dicendo che non potevo
rimanere con lei. Il mio cammino non era ancora giunto al termine..."

Qualcuno ha riferito di aver deciso di rientrare unicamente perché spinto
dal senso del dovere verso chi aveva lasciato.

La testimonianza di Paolo (vedi pag. 121) ci fornisce un chiaro esempio:

"...ora che conosci il significato delle parole 'dovere'e 'responsabilità',
il tuo cuore ha deciso di tornare nel mondo per rimediare a tutto il male
che hai compiuto... io ti lascio ripartire."

C'è chi, come Anna (vedi pag. 78), ha chiesto e ottenuto il permesso di
rientrare:

"...hanno tanto bisogno di me. Come posso lasciarli soli ora?... Ti prego,
lasciami andare da loro..." e la Luce: "E sia... ma ricorda: la prossima
volta dovrai fermarti qui per l'eternità".

Particolarmente interessante è la testimonianza di un docente di Filosofia,
da sempre dichiaratosi ateo. Egli racconta:

"... dopo aver riesaminato la mia vita al cospetto dell'Essere di Luce, ebbi
la netta sensazione che una forza, come una corrente d'amore, tentasse di
opporsi a Lui... Mi sembrò che quest'ultimo accettasse di piegarsi a
un'energia positiva... decise di cedere alle preghiere che altri gli
rivolgevano... Ho saputo di essere stato richiamato in vita dall'amore dei
miei genitori... La scoperta della potenza dell'amore fu per me una grossa
sorpresa... Fino ad allora ero vissuto egoisticamente chiuso nella mia
esistenza di intellettuale..."

RIENTRO NEL CORPO FISICO

Questo è il momento più doloroso e molti tendono a rimuoverne il ricordo.
L'aver abbandonato un mondo di serenità e sapere di tornare in un mondo di
sofferenza non è certo molto piacevole.

Alcuni ricordano di essere stati proiettati verso il basso e di essere
entrati immediatamente nel proprio corpo, sprofondando poi in uno stato di
incoscienza. Il racconto di Stefano fornisce un chiaro esmpio (vedi pag.91):

22...Improvvisamente venni sollevato e di colpo spinto verso il basso in una
pazzesca corsa a testa in giù..."

Per altri, come per Fabio (vedi pag. 33), la discesa eè invece meno
traumatica:

"... Dolcemente fui respinto dentro il buio tunnel e iniziai il viaggio di
ritorno. Il mio corpo inanimato ora giaceva sul lettino dell'ambulanza... lo
ritrovai e ne ripresi possesso..."

Alcuni dopo essersi allontanati dal mondo di pace, non rientravano
immediatamente nel proprio corpo, ma vagano

ancora per qualche tempo (vedi La storia di Andrea alle pagg. 111 e 112):

"... La mia discesa non fu veloce come la salita, ma presto mi ritrovai
nella stanza d'attesa dell'ospedale... Riconobbi subito la signora bruna...
era mia moglie... Quel corpo disteso sul lettino operatorio sono io... ora
devo trovare il mio corpo al più presto... perché so di essere ancora vivo."

"... Fui allora ricacciata indietro... Ero nuovamente sospesa a circa trenta
centimetri dal mio corpo... In quell'istante percepii, inequivocabilmente,
queste parole: "...

staccate il respiratore!" Una disperazione infinita e una rabbia feroce mi
sopraffecero... precipitai nel vuoto assoluto..." (Vedi la storia di Silvia
alle pagg. 16 e 17).
Ovviamente, le esperienze di pre-morte divergono per contenuto e forma, come
per le modalità che portano a viverle. Chi ha avuto l'avventura di vivere
un'esperienza simile ha raccontato proprie impressioni e proprie sensazioni,
esteriorizzandole secondo il suo modello comportamentale. Certo però,
ognuna, per essere dichiarata tale, deve racchiudere in se una o più delle
caratteristiche sopra elencate. Le testimonianze che ho riportato nella
prima parte del libro, forniscono particolari e interessanti spunti di
riflessione.

STUDI E RICERCHE
CENNI STORICI


Lo studio dei fenomeni di pre-morte è stato affrontato scientificamente solo
negli ultimi anni. Le tecniche di rianimazione oggi disponibili sono
estremamente avanzate, per cui molti pazienti che solo qualche anno fa
sarebbero morti, ora possono fornire le loro testimonianze su eventueli
esperienze vissute durante il coma.

E', comunque, giusto sottolineare che anche in tempi molto remoti,
esistevano tecniche, seppure molto rudimentali, di rianimazione.

La Bibbia fornisce numerosi esempi di metodi allora in uso per riportare in
vita persone esanimi. Il più diffuso consisteva nell'insufflare aria
direttamente nella bocca del morente, pratica che richiama la concezione
religiosa dell'anima intesa come "soffio vitale" e che ha sorprendenti
analogie con la moderna respirazione artificiale. Una tecnica diversa,
invece suggeriva di scaldare l'addome del paziente. Tutto ciò permette di
ipotizzare che anche in tempi molto remoti, possono essere accaduti episodi
di "ritorno dalla morte" e che il verificarsi di tali fenomeni abbia
influenzato, direttamente o indirettamente, la tradizione religiosa e
letteraria.

A conferma di tale ipotesi è sufficiente ricercare negli antichi testi le
testimonianze relative. Vari racconti presentano sorprendenti analogie con i
fenomeni oggi chiamati di "pre-morte" e narrano di esperienze direttamente
connesse con la morte o di visioni mistiche legate a tradizioni religiose o
filosofiche.

Platone, nel decimo libro della sua "Repubblica", narra la storia del
soldato Er. Caduto in battaglia, il suo corpo era già stato posto sul rogo,
secondo la tradizione religiosa dell'antica Grecia, quando i soldati
presenti per tributare al compagno l'ultimo onore, con sgomento lo videro
rialzarsi in mezzo alle fiamme.
Il filosofo spiega l'accaduto raccontando che l'anima di Er, dopo aver
abbandonato il corpo, si era unita a quella dei compagni uccisi nella stessa
battaglia e insieme a loro aveva attraversato un'immensa valle verde, dove
avevano incontrato degli esseri divini. In quel luogo fantastico, ogni
soldato aveva potuto rivedere tutta la propria vita. Er aveva chiesto il
permesso di restare per sempre in quel mondo luminoso, ma un essere divino,
la cui luce era assai più forte di quella degli altri, gli aveva ordinato di
tornare sulla Terra, con il preciso incarico di raccontare tutto ciò che gli
era stato concesso vedere.

Uno dei testi antichi più significativi sull'argomento di una vita
spirituale superiore è il "Libro tibetano dei morti", la cui stesura risale
circa all'VIII secolo dopo Cristo. Tale importantissimo documento letterario
si basa sugli insegnamenti più antichi tramandati oralmente da Lama a Lama.
Questi dotti sacerdoti, nel comporlo, si prefissero due scopi diversi ma
altrettanto importanti. Il primo era quello di fornire una precisa
descrizione dell'esperienza della morte, in modo da preparare i mortali ad
affrontare con la migliore disposizione d'animo il distacco dal mondo
terreno.

Il secondo, ma non meno importante, era quello di aiutare i parenti dei
morenti a esprimere solo sentimenti di positiva rassegnazione nei confronti
del defunto, evitando in tal modo di trattenerlo con il loro affetto e la
loro disperazione. In questo antichissimo testo la morte viene descritta
come un viaggio da compiersi attraverso varie e distinte fasi. Vi si narra
che l'anima, appena uscita dal corpo si trova immersa nel vuoto assoluto. In
quello stadio è possibile udire suoni simili al tuono o al fischio del
vento.

In un secondo tempo, il "morente" ha la precisa visione del proprio corpo
fisico, dei parenti, degli amici, dei preparativi in atto per il suo
funerale, e soprattutto dei luoghi in cui ha abitato sino ad allora.

In quel preciso momento, lo spirito si accorge, con stupore, di essere
uscito dal proprio involucro materiale, ma non avendo ancora compreso di
essere morto, cerca in ogni momento di comunicare con gli altri.

In quella delicata fase, si sente disorientato e , non conoscendo ancora la
propria destinazione finale, preferisce temporeggiare in luoghi più
familiari.
I suoi sensi sono più acuti del normale e ha la capacità di spostarsi, quasi
istantaneamente, dovunque. Si accorge, inoltre, con meraviglia, che
eventuali sue menomazioni fisiche sono scomparse completamente.

Allontanandosi dalla Terra, incontra altri esseri simili a lui, immersi in
una luce pura, e, finalmente, trova una pace e una serenità immense. L'idea
che l'anima del morto resti a vagare per un certo tempo nei luoghi in cui ha
abitato è comune a parecchie tradizioni religiose.

Presso molti popoli lo scopo del culto dei morti (sepoltura, cremazione,
imbalsamazione ecc.) era proprio quello di dare pace all'anima del defunto,
aiutandolo a raggiungere serenamente l'aldilà. Basta ricordare, per tutti,
gli antichi Egizi. Presso quell'antichissimo popolo il passaggio verso il
mondo superiore era la base su cui si fondavano religione e cultura.

I numerosi reperti pervenutici da quella nobile civiltà testimoniano in modo
chiarissimo quanto gli Egizi credessero in una vita ultraterrena.

Altre testimonianze, per alcuni aspetti, più interessanti, riportate in
testi classici, pongono l'accento in modo significativo sul mutamento della
vita avvenuto in seguito a un'esperienza di "morte".
Dopo aver vissuto un'esperienza del genere, il "sopravvissuto" apprezza
maggiormente l'esistenza terrena, egli sa saggiamente distinguere i beni
preziosi e duratutri, come l'amore universale, da quelli ingannevoli ed
effimeri, apprezzati dall'egoismo umano.

Lo stesso concetto, descritto in modo diverso, è presente in molte
tradizioni filosofiche e religiose.

Il venerabile BEDA, monaco inglese che visse nel VII - VIII sec., narra la
storia di un uomo morto nelle ultime ore della notte e tornato a vivere
all'alba.

Qyel possidente terriero, durante la sua esperienza di "morte", venne
guidato da uno spirito lucente dall'oscurità a un luogo vasto, sereno e più
luminoso del sole; qui lo spirito lo esoltò a tornare nel mondo e a vivere
con maggiore semplicità e virtù. L'uomo, conquistato dalla piacevolezza del
luogo e della compagnia che vi aveva trovato, non desiderava riprendere
l'esistenza terrena, ma li suo destino doveva ancora compiersi e, senza
sapere come, si ritrovò di nuovo nel suo corpo fisico. In opere letterarie
molto famose è stato trattato il tema del "giudizio della vita", per
motivare il cambiamento di vita attuato da un determinato personaggio. Un
chiaro esempio si trova ne "Il racconto di Natale" dello scrittore inglese
Dickens il cui protagonista è un vecchio avaro, che tormenta i suoi
impiegati e nega il minimo aiuto a chiunque.

Durante un'esperienza di "morte", egli viene sollevato da tre spiriti in un
mondo luminoso, dove ha la possibilità di rivedere tutta la sua nita e di
comprendere e condividere i dolori e le pene che il suo egoismo ha
provocato. Tornato "in vita", ha modo di pentirsi e, rinnovato completamente
nell'animo, impara a porre l'amore per il prossimo al primo posto nella
scala dei suoi valori.

I PIU'  ILLUSTRI STUDIOSI

La svolta medico-ideologica sui confini tra la vita e la morte si verifica
all'incirca negli anni Sessanta, per merito della psichiatra statunitense
Elisabeth Kubler-Ross, che, dedicatasi per anni a pazienti affetti da
malattie incurabili, provò un interssamento sempre maggiore per il fenomeno
della morte.

Grazie all'opera sua e dei suoi discepoli, la medicina moderna ha preso atto
di dovere e poter aiutare il morente ad affrontare l'ultimo viaggio con
serenità e dignità. Nella complessa tecnica adottata dalla psichiatra, si
uniscono amore e psicanalisi.

La Kubler-Ross ha chiarito il reale significato delle prime pagine del
"Libro egiziano dei morti":

"A quei tempi la morte non era considerata un tabù. Il morente si preparava
a dare l'addio alla vita circondato dall'affetto dei familiari. Il suo
viaggio nell'aldilà iniziava così in un clima di grande serenità".

Dichiarando anche:

"Sappiamo molto su come si giunge alla morte, ma sono molti i problemi
insoluti che riguardano il momento del decesso e l'esperienza conosciuta da
pazienti dichiarati clinicamente morti".

Il già citato Raymond A. Moody, nato nel 1944 in Georgia (USA), come abbiamo
detto è stato il pioniere che ha aperto la porta su questo mondo sconociuto.
Quando insegnava filisofia nell'Università della Virginia, durante una
lezione sulle opere di Platone, fu interrotto da un allievo che affermava di
credere fermamente all'immortalità dell'anima.

Qualche anno prima, sua nonna, dopo essere entrata in coma, ne era
miracolosamente uscita, raccontando al nipote una storia incredibile e
meravigliosa circa un viaggio compiuto in un mondo di luce.

Moody ne rimase molto colpito, soprattutto perchè quel racconto somigliava
moltissimo a un'esperienza raccontatagli quindici anni prima da un collega
che l'aveva appresa da George Richtie, un illustre psichiatra che, in
conseguenza di una polmonite doppia, era stato dichiarato clinicamente morto
e poi era "resuscitato".
Al suo risveglio aveva raccontato così la sua straordinaria storia:

"Dopo aver abbandonato il mio corpo, lo vidi steso su un letto d'ospedale.
Dopo averlo tranquillamente contemplato, come se si trattasse di un perfetto
sconosciuto, ebbi la sensazione di allontanarmi da tutto. Ero immerso in un
oceano di pace e andavo verso il sole purissimo dall'estrema realtà... Mi
avvicinai poi a una città cristallina.
Si trattava di cristallo formato da una straordinaria sostanza che irradiava
luce... Mentre ero lì, un incommensurabile sentimento d'amore s'impadronì di
me..."

Da quel giorno Moody si interessò sempre di più all'argomento e raccolse un
notevole numero di esperienze, cui diede il nome di "near death
exsperiences". Nel 1969 si laureò in medicina e fece di tali indagini una
ragione di vita.

Identiche ricerche furono contemporaneamente effettuate da Kenneth Ring, uno
psicologo del Connecticut che, nel 1980, pubblicò un libro estremamente
importante sull'argomento: Life at death: a scientific investigation of the
near death experiences (La vita al momento della morte: un'indagine
scientifica sulle esperienze di pre-morte).
Ring, esaminando nei dettagli le interviste di persone che avevano vissuto
quell'esperienze, mise in rilievo un dettaglio di estrema importanza: le
tesimonianze raccolte non presentavano sostanziali differenze determinate da
età, razza o religione di chi le aveva vissute.

A Ring spetta, inoltre, il merito di aver messo a punto un particolare
metodo di intervista, adottato come questionario ufficiale per appurare se
il paziente ha veramente vissuto un'esperienza di pre-morte.

Segue il contenuto integrale del test.

1. E'un'esperienza difficile da tradurre in parole? (Se si): Può provare a
dirmene il perché? Cosa c'è in questa esperienza che la rende così difficile
da spiegare? Era come un sogno o diversa da un sogno?

2. Quando si è verificato questo episodio, pensava di essere in punto di
morte? O pensava addirittura di essere morto? Ha forse sentito dire da
qualcuno che lei era morto? Cos'altro ricorda di aver sentito quando lei era
in quello stato?

3. Quali erano le sue sensazioni durante l'episodio?

4. Ha sentito rumori o suoni insoliti, durante l'episodio?

5. Ha mai avuto la sensazione di viaggiare o di muoversi? Com'era? (Se
opportuno). Questa sensazione era in qualche modo collegata al rumore che ha
descritto prima?

6. Durante quest'esperienza, ha mai avuto la sensazione di separarsi dal
corpo fisico? Durante questo tempo, ha mai avuto coscienza di vedere il suo
corpo fisico? (Porre queste domande in successione; quindi, se necessario,
chiedere): Potrebbe descrivermi quest'esperienza? Come si sentiva mentre era
in quello stato? Dov'era mentre stava fuori dal suo corpo fisico? Aveva un
altro corpo? (Se si): Vi era una relazione fra lei e il suo corpo fisico?
Una sorta di legame che lei riuscisse a vedere? Me lo descriva. Mentre era
in quello stato, qual era la sua percezione del tempo, dello spazio e del
peso? Riusciva forse a fare delle cose che non potrebbe fare normalmente nel
corpo fisico? Sentiva dei sapori, degli odori? Mentre era in quello stato
erano coinvolti, e fino a che punto, la vista e l'udito? Ha provato un senso
di solitudine? Fino a che punto?

7. Nel corso dell'episodio, ha incontrato altre persone, vive o morte? (Se
si): Chi erano? Cosa è successo quando le ha viste? Hanno comunicato con
lei? Come? Perché crede che le abbiano detto certe cose? Come si sentiva al
loro cospetto?

8. Le è mai capitato di vedere una luce, un bagliore, un'illuminazione?
potrebbe descrivermela? (Se si): Questa "luce" le ha comunicato qualcosa?
Cosa? Cos'era per lei questa luce? Come si sentiva? (Oppure come la faceva
sentire?) Ha incontrato qualche figura religiosa, come l'Angelo custode,
Cristo, e via dicendo? Ha incontrato spiriti malvagi come demoni, streghe o
addirittura il diavolo?

9) Durante quest'eperienza, le è mai appara davanti la sua vita intera o
qualche scena di questa, come nell'immaginazione o nel ricordo? (Se si): Può
spiegarmi meglio? Come è stata quest'esperienza? Che sensazione le ha dato?
Le è sembrato di apprendere qualcosa da questa esperienza? Cosa ?

10. Ha mai avuti l'impressione di raggiungere una sorta di confine, un
limite, una soglia, un punto di non ritorno? (Se si): Potrebbe
descrivermelo? Nell'avvicinarsi al confine, ricorda di aver avuto pensieri o
sensazioni particolari? Ha un'idea di cosa rappresentasse o significasse
quel confine?

11. (Se il paziente ha affermato di essere stato in punto di morte,
chiedere): Quando sentiva che stava per morire,

cosa provava? Voleva tornare nel corpo, nella vita? Come è stato quando si è
ritrovato nel suo corpo, di nuovo cosciente? Ha qualche ricordo del momento
in cui è rientrato nel corpo fisico? Ha un'idea del perchè non è morto
allora? Si è mai sentito giudicato da una forza impersonale?

12. La sua esperienza recente, tuttavia mi chiedo se si sente cambiato in
qualche modo. Cosa ne pensa? Se è cambiato, in che senso lo è? (Se è
necessario o opportuno, chiedere ancora). Dopo questa esperienza, è cambiato
il suo atteggiamento nei confronti della vita? Come? ha forse modificato le
sue idee religiose? In tal caso, come?

Rispetto a prima, ha maggiore o minore paura della morte, o forse la stessa?
(se opportuno): Me lei ha paura della morte? (Se è un paziente che ha
tentato il suicidio, chiedere): Quanto ha influito quest'esperienza sulla
sua idea del suicidio? (Con estrema cautela): Che probabilità vi sono che
lei tenti nuovamente il suicidio?
13. (Se non è stato chiarito in pieno nel corso delle domande il punto 12 e
se il paziente ha dichiarato di essere stato in punto di morte, chiedere):
Lei che è giunto così vicino alla morte, può dirmi a suo modo cos'è adesso
la morte per lei?

14. C'è qualcosa che vorrebbe aggiungere riguardo alla sua esperienza o agli
affetti che ha avuto su di lei?

Questo importantissimo questionario è stato utilizzato da George Gallup jr.,
erede del più importante e prestigioso istituto di sondaggi del mondo. Nel
1982 questo centro americano avviò un'inchiesta, chiamata "Evergreen"
(sempreverde), che rivelò un dato incredibile: ben otto milioni di Americani
avevano vissuto questo tipo di esperienza, ma la cifra si supponeva
superiore, tenendo conto di coloro che potevano aver preferito non
confessarlo.

Successivamente, ancora Ring analizzò attentamente il comportamento delle
persone ritornate alla vita. Nel suo libro "Heading toward Omega" (Diretti
verso Omega), dichiara: "Abbiamo scoperto che queste esperienze hanno
modificato i punti di vista sulla vita e sulla morte di chi le ha provate e
hanno modificato i valori, i comportamenti e gli schemi della loro vita".

Un altro emerito studioso di questi fenomeni è Michael Sabom, notissimo
cardiologo di Atlanta (USA) che eseguì un'indagine approfondita e
d'importanza basilare per quanti si interessano allo studio delle esperienze
di pre-morte.

I suoi studi si concentrano in modo particolare sull'esperienza
extra-corporea. Esaminò attentamente le testimonianze di tutti i pazienti
che avevano dichiarato di aver assistito, dopo l'abbandono del corpo, alla
"risuscitazione" dello stesso avvenuta grazie all'intervento dei medici.

Confrontò il loro racconto con quello di altri pazienti, che non avevano
compiuto lo stesso "viaggio", ma conoscevano esattamente il metodo per
riattivare il cuore.
Scoprì con grande stupore che, mentre gli "esperti" avevano commesso
grossolani errori, i "resuscitati", pur non avendo la minima cognizione di
medicina, erano stati in grado di descrivere perfettamente tutto il
procedimento. Il risultato di quella ricerca confermò, al di là di ogni
dubbio, che questo ultimi avevano realmente vissuto un'esperienza di
abbandono del corpo.

Le esperienze di pre-morte non sono state vissute solo da adulti, ma anche
da bambini di ogni età. Le testimonianze di esperienze vissute da soggetti,
che per la propria giovene età non hanno subito particolari condizionamenti
etnici, religiosi o culturali, assume un significato importantissimo nello
studio di tali fenomeni.
Il racconto dei piccoli pazienti non si differenzia molto da quello degli
adulti. Sergio, di 11 anni, racconta:

"Mi avevano appena regalato una bicicletta per il mio compleanno e non
vedevo l'ora di correre fuori per farla vedere ai miei compagni. Ero
contento e cantavo a squarciagola, correndo come un pazzo. Non mi accorsi
della grossa macchina che mi investì.

Ricordo solo il terribile urto dopo il quale mi trovai a galleggiare sospeso
nell'aria. Sotto di me vedevo "l'altro me stesso" sull'afalto, tutto coperto
di sangue.C'era un sacco di gente che urlava. Qualcuno cercò di spostarmi,
qualcun altro gli disse che era meglio non toccarmi aspettando che arrivasse
l'ambulanza.

Io, sinceramente, mi stavo divertendo un mondo e cercavo di dire a quelle
persone di non preoccuparsi perchè stavo benissimo, ma era tutto inutile.
Nessuno mi sentiva, nessuno mi vedeva. Pensavo di essere morto, poi
cominciai a guardarmi in giro con curiosità.

Stavo attraversando una galleria molto buia che era in salita. Però non
avevo paura, perchè vicino a me c'erano due bellissime donne con i capelli
lunghi che mi facevano compagnia. Alla fine di quella salita mi trovai
davanti al sole, anzi a una cosa che era molto pù bella della luce del sole.
Mi dispiace solo che non posso trovare le parole per descrivere quanti
colori c'erano intorno a me. Camminavo su un prato verde, molto più bello di
quello dello stadio, e vedevo tante figure che mi sorridevano, anche se non
mi conoscevano per miente. Allora raccontai l'incidente che mi era capitato,
ma non mi sgridarono; sentivo che mi volevano tanto bene e decisi che sarei
rimasto sempre lì, in quel posto incantato.

Cominciai a correre tutto intorno, quando una figura più grande di tutte e
molto più luminosa delle altre mi disse che dovevo tornare subito indietro
perchè il mio papà e la mia mamma stavano piangendo.

Rientrai allora nella galleria, che questa volta era in discesa e mi trovai
subito davanti al mio corpo disteso su una brandina. Volevo dire ai dottori
di non preoccuparsi troppo perchè ero vivo, ma sapevo che non mi avrebbero
sentito.

Uno di loro cominciò a prendere a pugni il mio costato, poi non mi ricordo
più niente.

Quando mi sono svegliato in ospedale, ho raccontato immediatamente tutto
alla mia mamma, ma lei mi ha detto di non dire sciocchezze. Io però
continuavo a insistere che era vero quello che avevo visto, che non me l'ero
sognato.

Allora un giorno lei mi ha portato da un dottore e ho capito subito che lui
mi credeva, perchè studiava queste cose e le ha spiegate alla mia mamma. Da
quel momento, finalmente, mi ha creduto. Anzi continua a dirmi che sono
diventato più bravo; quando muoio ancora, voglio tornare in quel bel posto!"

Lo scienziato cui spetta il merito di aver iniziato la ricerca sulle
esperienze di pre-morte relative ai bambini è l'americano Melvin MOrse,
pediatra di Seattle.

In anni molto recenti, anche le cronache italiane hanno citato le toccanti
testimonianze di bambini "rivissuti". La Scienza ufficiale, a tutt'oggi,
mantiene un atteggiamento di diffidente scetticismo nei confronti dei
fenomeni di pre-morte. Incontestabilmente, però, l'interesse al riguardo sta
aumentando rapidamente.

In ogni aprte del mondo, sempre più numerosi sono i medici, gli psicolgi,
gli psichiatri, i socilogi che si dedicano a tale studio. In Italia sono
sorti parecchi centri di ricerca e molti illustri scienziati stanno
raccogliendo testimonianze. Uno dei nomi più illustri e quello del dottor
Marco Magnelli, neurofisiologo, presidente della Società Italiana per lo
studio degli stati di coscienza. Egli dichiara:

"Il problema principale è quello della coscienza:

i neuroscienziati ritengono che la coscienza sia rigidamente collegata al
cervello. Se questo funziona, allora c'è coscienza; se si altera o muore, la
coscienza si distorce o scompare.

Negli ultimi cinquant'anni, tuttavia, molti medici si sono arresi
all'evidenza che l'esperienza di pre-morte è talmente frequente da dover
essere considerata un fenomeno "naturale", per il quale le abituali
spiegazioni non sono più sufficienti. L'esperienza di pre-morte è un
'cavallo di Troia'psico-filosofico, perchè ammettendolo come fenomeno
naturale, obbligherà i neuro scienziati a definire chiaramente il concetto
di coscienza e con ciò li obbligherà a entrare in un campo di confine, nel
quale le esperienze incomprensibili sono molto numerose. Il 'cavallo di
Troia'è gia entrato nella cittadella del sapere: si stima che circa il 50%
dei morti d'infarto, poi rianimati, abbia questa esperienza e si è già
dimostrato che solo una minima percentuale di costoro può aver avuto delle
allucinazioni patologiche".

GESU' IN INDIA?



La tesi di Gesù morto in India è sostenuta da Omraam Mikhaël Aïvanhov e, secondo il Paramhansa Yogananda, Gesù sarebbe vissuto in India dai 13 ai 30 anni circa (anni di cui i Vangeli non parlano), benché entrambi i maestri spirituali si limitino a citarla senza approfondire l'argomento

TESTO
La Vita di Gesù in India
La sua vita sconosciuta prima e dopo la crocifissione

Perché il Cristianesimo ha scelto di ignorare i legami con le religioni
dell'Oriente e di respingere ripetutamente i numerosi indizi che indicano
che Gesù passò gran parte della Sua vita in India?
Questo libro coinvolgente presenta prove inoppugnabili che Gesù ha vissuto
veramente in India, dove è morto in tarda età.
La vita di Gesù in India è il risultato di molti anni di indagini e ricerche
e porta il lettore in tutti i luoghi storicamente collegati con Gesù in
Israele, nel Medio Oriente, in Afghanistan e in India.
Dopo avere rivelato antichi legami fra gli Israeliti e l'Oriente, le
evidenze trovate dal teologo Holger Kersten portano alle seguenti
sorprendenti conclusioni:
In giovane età Gesù ha seguito l'antica Via della Seta fino all'India, dove
ha studiato il Buddhismo, ne ha adottato le dottrine ed è divenuto un
Maestro spirituale.
Gesù è sopravvissuto alla crocifissione.
Dopo la "resurrezione " Gesù è ritornato in India, dove è morto in età
avanzata.
Gesù è stato sepolto a Srinagar, la capitale del Kashmir, dove ha continuato
ad essere riverito come un uomo santo.
La tomba di Gesù esiste tuttora in Kashmir.

LA NATURA NON CI HA CREATI CARNIVORI



L'EVIDENZA FISIOLOGICO-STRUTTURALE DEL CORPO UMANO

Una via consapevole di contatto con sé, di rilassamento, di risveglio della
presenza, di risveglio dello spirito

Gli esseri umani sono molto spesso descritti come "onnivori": questo è
sbagliato. Tale classificazione è basata sull' "osservazione" che
normalmente essi si nutrono di una grande varietà di cibi vegetali e
animali. Tuttavia, cultura, tradizione e formazione giocano come elementi di
disturbo nella valutazione delle nostre pratiche alimentari.

Quindi, la mera osservazione non si può considerare come la tecnica migliore
nel cercare di identificare quale sia la dieta più "naturale" per l'uomo.
Per quanto la maggior parte degli esseri umani sia chiaramente onnivora dal
punto di vista "comportamentale", resta da chiarire se lo sia altrettanto da
un punto di vista strutturale-anatomico.

Focalizzarsi sull'anatomia e sulla fisiologia umana rappresenta il modo
migliore e più obiettivo di affrontare la questione. I mammiferi si sono
anatomicamente e fisiologicamente adattati a procurarsi e a consumare un
particolare tipo di cibo (è una pratica comune cercare di dedurre la
probabile dieta delle specie estinte attraverso l'esame delle
caratteristiche anatomiche dei loro resti fossili).

Quindi, dobbiamo osservare i mammiferi carnivori, erbivori ed onnivori per
individuare quali caratteristiche anatomo-fisiologiche sono associate ai
diversi tipi di dieta e comparare le nostre caratteristiche per vedere a
quale gruppo apparteniamo davvero.

Volendo definire un metodo per verificare se gli umani sono degli onnivori
naturali, la procedura dovrebbe essere questa:

definire una lista di caratteristiche fisiologiche e parametri biochimici di
tutte le specie naturalmente onnivore;

individuare le caratteristiche comuni a tutte le specie;

verificare la capacità discriminante di questa lista provando ad applicarla
a specie di cui è già noto che sono onnivore, per verificare la bontà del
test e infine, se questo test risulta accurato e corretto...

... verificare se i parametri della specie uomo soddisfano questo test.

MUSCOLI FACCIALI

Carnivori: ridotti, per permettere un'ampia apertura della bocca

Erbivori: ben sviluppati

Onnivori: ridotti

Umani: ben sviluppati

TIPO DI MANDIBOLA

Carnivori: ad angolo non ampio

Erbivori: ad angolo ampio

Onnivori: ad angolo non ampio

Umani: ad angolo ampio

POSIZIONE DELL'ARTICOLAZIONE MANDIBOLARE

Carnivori: sullo stesso piano dei denti molari

Erbivori: al di sopra del piano dei molari

Onnivori: sullo stesso piano dei denti molari

Umani: al di sopra del piano dei molari

MOVIMENTO MANDIBOLARE

Carnivori: tranciamento; minimo movimento laterale

Erbivori nessun tranciamento buon movimento laterale e ant.-posteriore

Onnivori: tranciamento; minimo movimento laterale

Umani: nessun tranciamento; buon movimento laterale e ant.-posteriore

PRINCIPALI MUSCOLI MANDIBOLARI

Carnivori: temporali

Erbivori: massetere e pterigoideo

Onnivori: temporali

Umani: massetere e pterigoideo

Apertura della bocca in rapporto alla dimensione della testa

Carnivori: grande

Erbivori: piccola

Onnivori: grande

Umani: piccola

DENTI INCISIVI

Carnivori: corti ed acuminati

Erbivori: ampi, piatti e a forma di spada

Onnivori: corti ed acuminati

Umani: ampi, piatti e a forma di spada

DENTI CANINI

Carnivori: lunghi, affilati e curvi

Erbivori: non taglienti e corti o lunghi (per difesa), o assenti

Onnivori: lunghi, affilati e curvi

Umani: corti e smussati

DENTI MOLARI

Carnivori: affilati, a forma di lama frastagliata

Erbivori: piatti con cuspidi, superfici complesse

Onnivori: a lame affilate e/o piatti

Umani: piatti con cuspidi nodulari

MASTICAZIONE

Carnivori: quasi nessuna; deglutizione del cibo intero

Erbivori: necessaria una prolungata masticazione

Onnivori: deglutizione del cibo quasi intero e/o semplice schiacciamento

Umani: necessaria una prolungata masticazione

SALIVA

Carnivori: assenza di enzimi digestivi

Erbivori: enzimi digestivi per i carboidrati

Onnivori: assenza di enzimi digestivi

Umani: enzimi digestivi per i carboidrati

TIPO DI STOMACO

Carnivori: semplice

Erbivori: semplice o a camere multiple

Onnivori: semplice

Umani: semplice

ACIDITÀ DELLO STOMACO

Carnivori: pH inferiore o uguale a 1 con cibo nello stomaco

Erbivori: pH 4 - 5 con cibo nello stomaco

Onnivori: pH inferiore o uguale a 1 con cibo nello stomaco

Umani: pH 4 - 5 con cibo nello stomaco

CAPACITÀ DELLO STOMACO

Carnivori: 60% - 70% del volume totale del tratto digestivo

Erbivori: inferiore al 30% del volume totale del tratto digestivo

Onnivori: 60% - 70% del volume totale del tratto digestivo

Umani: tra il 21% e il 27% del volume totale del tratto digestivo

LUNGHEZZA DELL'INTESTINO TENUE

Carnivori: da 3 a 6 volte la lunghezza del corpo

Erbivori: da 10 a più di 12 volte la lunghezza del corpo

Onnivori: da 4 a 6 volte la lunghezza del corpo

Umani: da 10 a 11 volte la lunghezza del corpo

COLON

Carnivori: semplice, corto e liscio

Erbivori: lungo, complesso, può essere con anse

Onnivori: semplice, corto e liscio

Umani: lungo, con anse

FEGATO

Carnivori: può detossificare la vitamina A

Erbivori: non può detossificare la vitamina A

Onnivori: può detossificare la vitamina A

Umani: non può detossificare la vitamina A

RENI

Carnivori: urine estremamente concentrate

Erbivori: urine moderatamente concentrate

Onnivori: urine estremamente concentrate

Umani: urine moderatamente concentrate

UNGHIE

Carnivori: artigli affilati

Erbivori: unghie piatte o zoccoli

Onnivori: artigli affilati

Umani: unghie piatte

Tratto da "The Comparative Anatomy of Eating" di Milton R. Mills, M.D.

L'UOMO NON È UN CARNIVORO NATURALE

L'uomo non è carnivoro. L'organismo dell'uomo, contrariamente a quello dei
carnivori, non è fatto per mangiare cadaveri di animali perché ne rimane
intossicato a causa delle sostanze tossiche contenute nella carne stessa.

L'organismo di un animale carnivoro cerca di espellere la carne dal proprio
corpo con la massima velocità possibile, data la sua tossicità. Una riprova
di questo è data dal fatto che il suo intestino è lungo 3-6 volte il corpo,
mentre quello dell'uomo (e degli animali frugivori) è pari a 9-12 volte la
lunghezza del corpo. Inoltre le mucose spesse e muscolose dei carnivori
tollerano forti succhi gastrici, necessari alla digestione della carne,
mentre l'uomo ne rimane danneggiato.

L'essere umano appartiene all'ordine dei primati antropomorfi, per loro
natura frugivori, cioè atti a consumare frutti, foglie, semi. La
neurofisiologia, l'embriologia, l'anatomia comparata confermano come l'uomo
sia strutturato per cibarsi di frutti, germogli freschi, foglie tenere,
tuberi, radici e non di muscoli ossa ed interiora come i carnivori. Questi
infatti hanno conformazione dentale, patrimonio enzimatico, organi visivi,
strutture di offesa, caratteristiche di potenza e d'aggressività, apparato
digerente, intestinale, escretorio, sudorifero, circolatorio adatti ad
utilizzare l'alimento carneo anche come fonte glucidica, consumandolo crudo
e completo di interiora e sangue.

Gli esseri umani senza mezzi artificiali difficilmente sarebbero in grado di
cacciare. Molti sono ormai gli scienziati concordi nell'affermare che l'uomo
si è convertito a consumare muscoli di animali (in principio carogne) per
necessità legate alla inospitalità delle foreste nell'ambiente originario,
circa 2 milioni di anni fa nell'era Neozoica, periodo Pleistoccne. In
quell'epoca avvennero infatti glaciazioni, interglaciazioni (ritiro dei
ghiacciai e avvento di climi più caldi) e periodi di siccità contrapposti a
forti diluvi: eventi climatici instabili ed irregolari che decretarono la
riduzione di gran parte della vegetazione spontanea, nonché il mutare delle
foreste in savane.

L'Homo Habilis sarebbe dunque passato al carnivorismo per poter
sopravvivere, pagando però lo scotto di un accorciamento della vita media.
L'uomo è diventato carnivoro in epoche in cui non si conoscevano i danni
della carne: oggi solo gli esquimesi restano un popolo carnivoro per
necessità assoluta. Essi consumano non solo la carne ma anche gli organi
interni e le interiora e bevono il sangue. La durata media della vita di
questo popolo è di 25-30 anni. Muoiono vittime della arteriosclerosi causata
dall'alimentazione carnivora.

Oggi noi non ammazziamo direttamente le nostre vittime, ma ci serviamo di
intermediari che spesso non vediamo: i dipendenti dei mattatoi, i
cacciatori, i pescatori. In questo modo perdiamo un anello importante della
catena che unisce l'animale alla nostra tavola e questo sicuramente ci aiuta
a giustificare, in qualche modo, una tale ed inutile violenza.

Gli animali più forti e resistenti alle fatiche fisiche sono vegetariani:
l'elefante, il rinoceronte, l'ippopotamo, le scimmie antropomorfe
(scimpanzé, gorilla, etc.) e quelli che l'uomo ha sempre sfruttato per
eseguire lavori pesanti: il bue, il cavallo, l'asino. Gli animali prolifici
sono vegetariani: il coniglio. Gli animali longevi sono vegetariani:
l'elefante.

Tratto da: Noi siamo vegetariani… e tu?, realizzato da S. Benevento, F.
Chiaretti e A. Dolcini, distribuito da E.N.P.A. (Ente Nazionale Protezione
Animali), 1999
Fonte: reiki.info