Mette le mani sulla La7. Controlla le nomine a Raitre. Condiziona il ritorno di Travaglio. Toglie la tutela legale alla Gabanelli. Così nasce il monopolio tv
Milena Gabanelli azzoppata. Sotto pressione per il tentativo di mandare in onda il suo "Report" su Raitre senza rete di protezione legale da parte di viale Mazzini. Marco Travaglio in discussione. Ancora privo di contratto, a meno di essere trattato nel programma ? Anno zero" di Michele Santoro su Rai Due non da editorialista come gli anni precedenti ma da ospite all'interno di un contraddittorio. Questo, e non solo, lato Rai. Poi: Telecom, nella gara definita dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e dal vice ministro Paolo Romani per l'assegnazione dei due multiplex per i programmi in digitale terrestre, è stata messa sullo stesso piano dei colossi Rai e Mediaset che probabilmente vinceranno.
Secondo gli esperti ci sarebbero tutte le ragioni per fare ricorso. Ma finora la società guidata da Franco Bernabè, manager non proprio organico alla corte di Arcore e non saldissimo in sella, ha preferito evitare di farlo. La spada di Tarak, invece su La7. Ovvero l'aleggiare del tacito interesse di Tarak Ben Ammar, letto da molti come una sorta di diritto di prelazione da parte di un uomo potente piazzato nei cda della stessa Telecom e nella Mediobanca di Cesare Geronzi (un tempo era stato anche consigliere di Mediaset nonché testimone in difesa di Berlusconi nei processi di Mani Pulite) e allietato da un portafoglio di amicizie pesanti: dal Cavaliere a Massimo D'Alema fino a Rupert Murdoch. Segnali dell'inizio di una stagione che si annuncia a dir poco incandescente. Per non parlare di Sky sotto tiro da dicembre, tra rialzo dell'Iva deciso dal governo e il divorzio non consensuale dalla Rai, a causa del suo successo italiano tale da portare James Murdoch, il figlio dello Squalo, a presidiare il territorio con una presenza sempre più assidua. Scene di una stagione probabilmente da manuale, nel senso di un trattato più militaresco che storico. Tappe di un'avanzata mediatica che non sente neanche il dovere di camuffarsi. Un autunno da ricordare come la manifestazione della brama di un controllo sui gangli dell'informazione e della televisione sfacciata come mai prima d'ora. Dove le poche free zone rimaste di reti, telegiornali, emittenti, società di Tlc fanno fatica a sottrarsi all'influenza ambientale, persuasiva e economica dell'inquilino di Palazzo Chigi. Forse perché nel terzo governo Berlusconi, la comunicazione sta definitivamente prendendo il posto della politica. Ed è su questo tavolo, su questo sistema che si giocherà la grande partita del Cavaliere. Non sull'azione ma sulla rappresentazione.
Non sui contenuti ma sugli attributi. In effetti, una vera e propria escalation. Al ritmo di una mossa dopo l'altra sempre più disinvolta. La legge sulle intercettazioni. La causa civile contro "Repubblica" colpevole di formulare dieci domande volte a chiarire il suo comportamento e di riportare i pesanti giudizi della stampa internazionale incredula davanti alle sue gesta. Gli attacchi personali all'editore Carlo De Benedetti e al direttore Ezio Mauro. I 2 milioni di risarcimento chiesti a "l'Unità". L'offensiva a suon di cannonate del "Giornale" di famiglia firmato per la seconda volta da Vittorio Feltri, seguito a ruota da quelle di "Libero" diretto da Maurizio Belpietro, ex direttore di "Panorama" e del "Giornale". E ora alla richiesta dell'Europa di chiarire i respingimenti dei migranti, addirittura la minaccia: quella di bloccare il funzionamento dell'Ue qualora siano i portavoce a permettersi di chiedere spiegazioni. Al limite del grottesco: trasformare i portavoce in porta silenzi. Ecco, dunque, l'evoluzione del Cavaliere con al suo fianco i paladini del momento, due falchi finalmente.
L'uomo di legge, Nicolò Ghedini. L'uomo di carta, Vittorio Feltri. Pronti ad assecondarlo nell'opera di esclusione ed eliminazione dell'informazione non allineata. In un delirio di intolleranza come è stato definito da Giuseppe Giulietti, deputato Idv uno che se ne intende di telecomunicazioni. A viale Mazzini, sistemate le due reti e i due tg, urge affrontare il cambio ai vertici della più nobile delle riserve indiane, Raitre e il suo telegiornale. Anche se al Tg1 di Augusto Minzolini manca ancora un tocco, il boccone prelibato per la Lega: la nomina del sesto vicedirettore cioè Enrico Castelli, spesso al seguito del Cavaliere nel settentrione d'Italia, con una sorta di delega per l'informazione del Nord da gestire con tre giornalisti ad hoc. Ma si diceva, il terzo canale, zona franca della tv pubblica, a parte il recinto di Michele Santoro a Raidue (alla domanda: «Andrete in onda senza Travaglio? » Sandro Ruotolo risponde senza sbilanciarsi: «"Anno zero" è Santoro, Vauro, Marco Travaglio...». Ecco, la terra libera di "Report" («Mi auguro che la cancellazione della clausola di manleva rientri », commenta Gabanelli «In caso contrario sarebbe complicato fare un programma d'inchiesta dove la maggior parte delle cause sono pretestuose tanto che in 13 anni di vita, non ne abbiamo mai persa una»). La striscia di "Parla con me" di Serena Dandini (gli scettici Rai escludono che manterrà la messa in onda dal martedì al venerdì). Il ticket perfetto per Raitre ci sarebbe: Enrico Mentana al Tg3 (nell'agenda del direttore generale Mauro Masi un incontro con lui). Giovanni Minoli alla rete con l'interim della sua Rai Educational, trasformata da lui in un gioiellino. Per carità, fior di professionisti. Ma soprattutto, nessuno dei due, un salto nel buio. Con qualità e difetti sia dell'uno che dell'altro ben noti ovunque, sia a viale Mazzini che a Palazzo Chigi visto il loro lungo cursus honorum. Tra l'altro, un binomio impossibile da bocciare anche per l'opposizione. Che però, per il tg avrebbe il suo candidato con i quattro quarti: Bianca Berlinguer, sostenuta dai dalemiani e da Pierluigi Bersani, ma anche da Dario Franceschini e da Walter Veltroni. Non da Paolo Gentiloni o dal consigliere Rai Nino Rizzo Nervo, area quel che fu della Margherita, propensi, invece, a difendere lo status quo: non tanto Antonio Di Bella (al quale non dispiacerebbe cambiare) ma soprattutto Paolo Ruffini, direttore di rete da sette anni.
Secondo gli esperti ci sarebbero tutte le ragioni per fare ricorso. Ma finora la società guidata da Franco Bernabè, manager non proprio organico alla corte di Arcore e non saldissimo in sella, ha preferito evitare di farlo. La spada di Tarak, invece su La7. Ovvero l'aleggiare del tacito interesse di Tarak Ben Ammar, letto da molti come una sorta di diritto di prelazione da parte di un uomo potente piazzato nei cda della stessa Telecom e nella Mediobanca di Cesare Geronzi (un tempo era stato anche consigliere di Mediaset nonché testimone in difesa di Berlusconi nei processi di Mani Pulite) e allietato da un portafoglio di amicizie pesanti: dal Cavaliere a Massimo D'Alema fino a Rupert Murdoch. Segnali dell'inizio di una stagione che si annuncia a dir poco incandescente. Per non parlare di Sky sotto tiro da dicembre, tra rialzo dell'Iva deciso dal governo e il divorzio non consensuale dalla Rai, a causa del suo successo italiano tale da portare James Murdoch, il figlio dello Squalo, a presidiare il territorio con una presenza sempre più assidua. Scene di una stagione probabilmente da manuale, nel senso di un trattato più militaresco che storico. Tappe di un'avanzata mediatica che non sente neanche il dovere di camuffarsi. Un autunno da ricordare come la manifestazione della brama di un controllo sui gangli dell'informazione e della televisione sfacciata come mai prima d'ora. Dove le poche free zone rimaste di reti, telegiornali, emittenti, società di Tlc fanno fatica a sottrarsi all'influenza ambientale, persuasiva e economica dell'inquilino di Palazzo Chigi. Forse perché nel terzo governo Berlusconi, la comunicazione sta definitivamente prendendo il posto della politica. Ed è su questo tavolo, su questo sistema che si giocherà la grande partita del Cavaliere. Non sull'azione ma sulla rappresentazione.
Non sui contenuti ma sugli attributi. In effetti, una vera e propria escalation. Al ritmo di una mossa dopo l'altra sempre più disinvolta. La legge sulle intercettazioni. La causa civile contro "Repubblica" colpevole di formulare dieci domande volte a chiarire il suo comportamento e di riportare i pesanti giudizi della stampa internazionale incredula davanti alle sue gesta. Gli attacchi personali all'editore Carlo De Benedetti e al direttore Ezio Mauro. I 2 milioni di risarcimento chiesti a "l'Unità". L'offensiva a suon di cannonate del "Giornale" di famiglia firmato per la seconda volta da Vittorio Feltri, seguito a ruota da quelle di "Libero" diretto da Maurizio Belpietro, ex direttore di "Panorama" e del "Giornale". E ora alla richiesta dell'Europa di chiarire i respingimenti dei migranti, addirittura la minaccia: quella di bloccare il funzionamento dell'Ue qualora siano i portavoce a permettersi di chiedere spiegazioni. Al limite del grottesco: trasformare i portavoce in porta silenzi. Ecco, dunque, l'evoluzione del Cavaliere con al suo fianco i paladini del momento, due falchi finalmente.
L'uomo di legge, Nicolò Ghedini. L'uomo di carta, Vittorio Feltri. Pronti ad assecondarlo nell'opera di esclusione ed eliminazione dell'informazione non allineata. In un delirio di intolleranza come è stato definito da Giuseppe Giulietti, deputato Idv uno che se ne intende di telecomunicazioni. A viale Mazzini, sistemate le due reti e i due tg, urge affrontare il cambio ai vertici della più nobile delle riserve indiane, Raitre e il suo telegiornale. Anche se al Tg1 di Augusto Minzolini manca ancora un tocco, il boccone prelibato per la Lega: la nomina del sesto vicedirettore cioè Enrico Castelli, spesso al seguito del Cavaliere nel settentrione d'Italia, con una sorta di delega per l'informazione del Nord da gestire con tre giornalisti ad hoc. Ma si diceva, il terzo canale, zona franca della tv pubblica, a parte il recinto di Michele Santoro a Raidue (alla domanda: «Andrete in onda senza Travaglio? » Sandro Ruotolo risponde senza sbilanciarsi: «"Anno zero" è Santoro, Vauro, Marco Travaglio...». Ecco, la terra libera di "Report" («Mi auguro che la cancellazione della clausola di manleva rientri », commenta Gabanelli «In caso contrario sarebbe complicato fare un programma d'inchiesta dove la maggior parte delle cause sono pretestuose tanto che in 13 anni di vita, non ne abbiamo mai persa una»). La striscia di "Parla con me" di Serena Dandini (gli scettici Rai escludono che manterrà la messa in onda dal martedì al venerdì). Il ticket perfetto per Raitre ci sarebbe: Enrico Mentana al Tg3 (nell'agenda del direttore generale Mauro Masi un incontro con lui). Giovanni Minoli alla rete con l'interim della sua Rai Educational, trasformata da lui in un gioiellino. Per carità, fior di professionisti. Ma soprattutto, nessuno dei due, un salto nel buio. Con qualità e difetti sia dell'uno che dell'altro ben noti ovunque, sia a viale Mazzini che a Palazzo Chigi visto il loro lungo cursus honorum. Tra l'altro, un binomio impossibile da bocciare anche per l'opposizione. Che però, per il tg avrebbe il suo candidato con i quattro quarti: Bianca Berlinguer, sostenuta dai dalemiani e da Pierluigi Bersani, ma anche da Dario Franceschini e da Walter Veltroni. Non da Paolo Gentiloni o dal consigliere Rai Nino Rizzo Nervo, area quel che fu della Margherita, propensi, invece, a difendere lo status quo: non tanto Antonio Di Bella (al quale non dispiacerebbe cambiare) ma soprattutto Paolo Ruffini, direttore di rete da sette anni.
(03 settembre 2009) Denise Pardo
fonte : L'espresso
fonte : L'espresso
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La notizia è sconcertante: mamma Rai non garantisce più ai giornalisti di Report la copertura legale. Che storia è questa?! Roba da paralizzare anche i professionisti più coraggiosi! Significa che gli inviati di Milena Gabanelli, da sempre attivi nel denunciare le illegalità e i soprusi che ci circondano, dovranno provvedere di tasca propria alle spese legali cui, da bravi inchiestisti, vanno continuamente incontro.
Sabrina Giannini, Sigfrido Ranucci, Stefania Rimini e gli altri giornalisti di Report dedicano i 3/4 della propria esistenza a ricerche scrupolose: viaggiano in lungo e in largo per arrivare alla verità e rivelarla al pubblico a casa. Scoprono traffici loschi e furti che spesso avvengono sotto i nostri occhi. Smascherano impostori, sfruttatori e tutto questo per offrire un servizio alla gente. Fare del bene, si potrebbe dire, ma non facciamo retorica inutile: non si può ignorare che la squadra di Report svolge un compito importante, che dovrebbe essere tra le mission del servizio pubblico.
La Rai, invece, se ne lava le mani, rivelando un atteggiamento assai pericoloso. La terza rete non ha ancora un direttore; l'inizio di AnnoZero viene rimandato di settimana in settimana perchè i contratti per la redazione del programma non sono pronti; il Tg1 di Minzolini viene continuamente accusato di strizzare l'occhio alla maggioranza, nascondendo gli scandali che hanno travolto il Premier.
E' questo il servizio pubblico che ci meritiamo? Non voglio crederlo. Soprattutto, mi rifiuto di pensare che la tv di Stato sia per le forze politiche - tutte - solo un esercizio di potere. Per i nostri rappresentanti non conta offrire prodotti di qualità, che rendano effettivamente un servizio al pubblico, ma, ancora una volta, accaparrarsi il maggior numero di poltrone. Che brutta televisione!
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