martedì 30 ottobre 2012
I virus dei vaccini vengono coltivati in cellule di feti umani abortiti
Helen Ratajczak, ricercatrice della Boehringer Ingelheim Pharmaceuticals, ha recentemente sollevato un vivace e turbolento dibattito tra chi discute il problema delle relazioni vaccino-autismo pubblicando un suo studio di revisione sulla ricerca sull’autismo. Si tratta di una nuova revisione di studi che esamina le varie cause ambientali dell’autismo, tra cui i vaccini e i loro componenti. Un elemento messo in luce, e che sembra essere sfuggito ai più è l’uso di cellule embrionali abortive nella produzione di vaccini.
La CBS News ha riportato: “La Dr. Ratajczak riferisce che quando i produttori di vaccini hanno dovuto eliminare il thimerosal dai vaccini (con l’eccezione dei vaccini contro l’influenza che ancora contengono thimerosal), hanno cominciato a produrre alcuni vaccini utilizzando tessuti umani. L’utilizzo di tessuti umani secondo la Ratajczak riguarda attualmente 23 vaccini. Nel suo studio ha discusso l’aumento di incidenza dell’autismo in corrispondenza con l’introduzione di DNA umano nel vaccino MMR, e suggerisce che le due cose potrebbero essere collegate.
Le pagine della revisione contengono un dettaglio che difficilmente poteva passare inosservato, cinque parole che rivelano uno dei segreti più shoccanti di Big Pharma, delle aziende farmaceutiche cioè: “…allevato in tessuti fetali umani” A pagina 70 si legge: “Un aumento aggiuntivo del picco di autismo si raggiunse nel 1995 quando il vaccino della varicella fu allevato in tessuti fetali umani”. La maggior parte di noi è del tutto ignara che le cellule di cultura umana usate per allevare i virus dei vaccini derivano da feti abortivi da decenni ormai e chi li produce è ben felice che il pubblico continui ad ignorarlo, perché sa che questo non potrebbe essere accettato dalla gente sia per le ignote conseguenze per la nostra salute che per il credo religioso di molti. Il vaccino contro la varicella non è l’unico prodotto in questo modo e, secondo il Sound Choice Pharmaceutical Institute (SCPI), i seguenti 24 vaccini sono prodotti usando cellule provenienti da feti abortivi e/o contenenti DNA, proteine, o frammenti cellulari di colture di cellule coltivate derivate da feti umani abortivi:
Polio PolioVax, Pentacel, DT Polio Absorbed, Quadracel (Sanofi)
Measles, Mumps, Rubella MMR II, Meruvax II, MRVax, Biovax, ProQuad, MMR-V
(Merck)
Priorix, Erolalix (GlaxoSmithKline)
Varicella (Chickenpox and Shingles) Varivax, ProQuad, MMR-V, Zostavax
(Merck)
Varilix (GlaxoSmithKline)
Hepatitis A Vaqta (Merck)
Havrix, Twinrix (GlaxoSmithKine)
Avaxim, Vivaxim (Sanofi)
Epaxal (Crucell/Berna)
Rabies Imovax (Sanofi)
Vaccini e autismo: una nuova revisione scientifica
Gabriele Milani - http://autismovaccini.com
Sharyl Attkinsons è una giornalista investigativa della CBS News ed ha intervistato nei giorni scorsi Helen Ratajczak: ex ricercatrice della Boehringer Ingelheim Pharmaceuticals che ha pubblicato, come autrice o coautrice, 41 articoli articoli scientifici a volte “castrati dagli interessi delle case farmaceutiche“.
E’ stata anche coautrice nel 2006 di uno studio per l’FDA e, nello stesso anno, è stata eletta Presidente della sezione Nord Est dell’Istituto di Tossicologia. E’ una scienziata seria e rispettata che dichiara apertamente alla CBS: “ora che sono in pensione posso scrivere ciò che voglio“. E così è stato!… La sua revisione scientifica relativa al collegamento tra autismo e vaccini sta facendo tremare la CDC che, da nota ufficiale, risponde imbarazzata affermando che “ci vorrebbe troppo tempo per studiare e controbattere questa revisione scientifica“.
L’articolo è stata pubblicato dal Journal of Immunotoxicology ed è intitolato “Aspetti teorici dell’autismo: cause – un riesame“. Un pò a sorpresa è quindi un ex scienziato senior presso una ditta farmaceutica ad aprire il coperchio del pentolone degli orrori. La Ratajczak ha fatto quello che nessun altro ricercatore, a quanto pare, si è preoccupato di fare: ha esaminato tutto il corpo delle pubblicazioni scientifiche emerse dopo che l’autismo è stato descritto dal 1943. Non solo la teoria suggerita dalla ricerca quale il ruolo del vaccino trivalente Morbillo Parotite Rosolia, o il conservante al mercurio (thimerosal), ma ha analizzato tutte le ricerche riguardanti i vaccini in generale.
Nel suo articolo la Ratajczak afferma che “cause documentate di autismo includono mutazioni genetiche e/o delezioni cromosomiche, infezioni virali, e l’encefalite a seguito della vaccinazione. Conseguenza: l’autismo è il risultato di difetti genetici e/o infiammazione del cervello provocato dai vaccini“. L’articolo prende in esame molti colpevoli potenziali correlati alle vaccinazioni, compreso il numero sempre più crescente di vaccini somministrati in un breve periodo di tempo.
“Ciò che ho pubblicato è altamente incentrato sulla ipersensibilità del sistema immunitario del nostro corpo che viene buttato fuori di equilibrio” così afferma la Ratajczak nell’intervista. Il Dr. Brian Strom, Università della Pennsylvania, che ha lavorato per lo I.O.M. (Istituto di Medicina) in qualità di consigliere per il governo sulla sicurezza dei vaccini, dice che l’opinione medica prevalente è che i vaccini sono scientificamente legati alla encefalopatia (danno cerebrale), ma non sono scientificamente legati all’autismo.
Così, per quanto riguarda la revisione della Ratajczak, afferma che non trova nulla di straordinario: “Questa è una rassegna di teorie. La scienza è basata su fatti. Bisogna trarre conclusioni sugli effetti di un’esposizione sulle persone, avendo dati sulle persone. I dati sulle persone non supportano l’esistenza di una relazione in quanto tale, qualsiasi speculazione su una spiegazione per un (inesistente) rapporto è irrilevante“. Però la Ratajczak si occupa anche di un fattore che non è stato ampiamente discusso ma che è stato ampiamente denunciato anche dal sottoscritto: DNA umano contenuto nei vaccini.
Proprio così, DNA umano come denunciato anche dalla Pontificia Accademia Pro Vita. I rapporti della Ratajczak mettono in evidenza che all’incirca nello stesso momento in cui i produttori di vaccini furono chiamati a togliere dalla maggior parte dei vaccini il thimerosal (con l’eccezione dei vaccini antinfluenzali che ancora ampiamente contengono thimerosal), hanno iniziato a produrre alcuni vaccini utilizzando tessuti umani. La Ratajczak dice che tessuti umani sono attualmente utilizzati in 23 vaccini. Lei quindi discute l’aumento dell’incidenza dell’autismo corrispondente all’introduzione di DNA umano nel vaccino Morbillo Parotite Rosolia, e suggerisce come gli eventi potrebbero essere collegati.
La Ratajczak afferma anche come un picco ulteriore di aumento dei casi di autismo si è verificato nel 1995 quando il vaccino contro la Varicella (Varivax) è stato coltivato nel tessuto fetale umano (MRC-5 si trova anche nel trivalente Priorix antiMoribillo-Parotite-Rosolia della GlaxoSmithKline che viene somministrato qui in Italia). Perché il DNA umano potrebbe potenzialmente causare danni al cervello? Il modo in cui si instaura questo meccanismo, da far gelare il sangue, viene spiegato molto semplicemente dalla Ratajczak: “Perché è DNA umano e i destinatari sono gli esseri umani. Avviene una ricombinazione omologa del DNA integrato nel DNA dell’ospite.
Una volta cambiato il DNA, secondo il concetto immunologico del self (proprio) e non-self (non proprio), si instaura un’alterazione del concetto di self e il proprio corpo attacca le proprie cellule. La maggior parte di questi avvenimenti avvengono nella loro massima espressione a danno dei neuroni nel cervello ancora in fase di maturazione del bambino. Così si instaura un processo di malattia autoimmunitaria che sfocia poi in una infiammazione. Questa infiammazione non si ferma, diventa cronica e continua per tutta la vita di quella persona“. Il Dr. Strom afferma che non era a conoscenza che il DNA umano era contenuto nei vaccini (ma che strano!), e ribatte: “Non importa … Anche se il DNA umano è stato utilizzato nei vaccini, non significa che essi causano l’autismo“.
La Ratajczak concorda sul fatto che “forse” nessuno ha ancora dimostrato come il DNA umano causa l’autismo, ma ricorda come i recentissimi studi del Sound Choice Pharmaceutical Institute sono una prova molto pesante che comprova questo legame e semmai nessuno ha dimostrato scientificamente il contrario. Un ulteriore prova di come questo dibattito sia definitivamente aperto, arriva dalla denuncia sanitaria di un buon numero di scienziati indipendenti che affermano di essere stati sottoposti a orchestrate campagne di discredito quando la loro ricerca esponeva i problemi di sicurezza del vaccino, soprattutto se si entrava in tema di autismo.
Così è stato chiesto alla Ratajczak come ha potuto effettuare ricerche in merito ad un argomento così controverso. Lei ha affermato che per anni, mentre lavorava nel settore farmaceutico, è stata limitata in quanto a ciò che le è stato permesso di pubblicare. “Ora sono in pensione“, ha quindi ribadito alla CBS News, “Io posso scrivere quello che voglio“. Così la CBS news ha deciso di mettere alla prova il CDC per dargli modo di sfidare l’opinione della Ratajczak. Dal momento che molti funzionari governativi e gli scienziati proseguono ad insinuare che le teorie che collegano i vaccini all’autismo sono state smentite, mentre la ricerca della Ratajczak dimostra il contrario, la CBS ha organizzato un contraddittorio.
Ebbene, a sorpresa i funzionari del CDC affermano che “ci vorrebbe troppo tempo per studiare e controbattere questa revisione scientifica“. Integrazione Sentitosi punto sul vivo, il Centro americano per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) comunica sul suo sito che intende studiare l’autismo come possibile conseguenza clinica delle vaccinazioni, in un progetto di ricerca di 5 anni sulla sicurezza dei vaccini. Il CDC studierà anche la disfunzione mitocondriale e il potenziale rischio di “danni neurologici” post vaccinali e per questo sta riunendo un team di esperti sulla fattibilità di studiare conseguenze sulla salute come l’autismo su bambini vaccinati e non vaccinati. La mossa del CDC giunge un mese dopo che l’ente governativo che coordina le politiche sull’autismo (IACC) ha annunciato un cambiamento nelle priorità della ricerca verso i fattori ambientali scatenanti l’autismo, tra i quali include tossine, agenti biologici e “effetti avversi in seguito alle vaccinazioni”. Il Centro per la sicurezza dei vaccini del CDC ha identificato la necessità di studiare “i disordini neurologici, tra cui i disordini dello spettro autistico” come una possibile conseguenza clinica delle vaccinazioni.
Il programma, che trovate qui nella sua interezza, si propone anche di stabilire se il conservante a base di mercurio thimerosal sia associato altresì all’aumento del rischio di “tic clinicamente importanti o della sindrome di Tourette“. Il CDC ha citato uno studio (Thompson, NEJM, 2007), che “ha stabilito che una aumentata esposizione al mercurio dalla nascita ai 7 mesi sia associata con tic motori e fonici nei maschietti” e ha aggiunto che “un’associazione tra esposizione al thimerosal e tic è stata trovata in due precedenti studi (Andrews, Pediatrics, 2004; Verstraeten, Pediatrics, 2003).”
Anche se bisogna sottolineare che Verstraeten ha poi rimangiato tutto quando è salito sulla carrozza della GlaxoSmithKline. Notando che il team IACC “suggerisce diversi studi che comprendessero bambini vaccinati rispetto a quelli non vaccinati per stabilire se c’erano delle differenze conseguenti sulla salute“, il CDC ha stabilito di riunire “una commissione esterna di esperti per offrire una guida sulla fattibilità sulla conduzione di questi studi e su quelli aggiuntivi sul programma vaccinale, comprendendo studi che possano indicare se le vaccinazioni multiple aumentino il rischio di disordini del sistema immunitario“.
Probabilmente assisteremo a un bel valzer di burattini e bustarelle, possiamo facilmente scommetterci, però di fatto il tema relativo alla correlazione tra autismo e vaccinazioni apre finalmente tutte le porte degli orrori. Ne vedremo delle belle…. anche dal punto di vista dell’informazione!
giovedì 25 ottobre 2012
LA BALENA CHE VOLEVA PARLARE
La balena bianca che imitava le voci umane
23 ottobre 2012
Una balena bianca vissuta nell'acquario della statunitense National Marine
Mammal Foundation riusciva a imitare di proposito il ritmo del linguaggio
parlato umano, con frequenze di alcune ottave più basse rispetto ai suoni
emessi comunemente dai cetacei. Lo ha dimostrato un'analisi delle
registrazioni audio raccolte per anni dai ricercatori che hanno studiato NOC
(red)
Le balene possono imitare le voci degli esseri umani. L'incredibile
conclusione, riportata in un articolo pubblicato su «Current Biology» a
firma di Sam Ridgway e colleghi della statunitense National Marine Mammal
Foundation, è frutto dell'analisi dei suoni emessi da NOC, una balena bianca
(Delphinapterus leucas) vissuta in cattività in un delfinario.
“Le nostre rilevazioni portano a ipotizzare che per produrre quei
particolari suoni, simili all'articolazione di un linguaggio umano, la
balena ha dovuto modificare la propria meccanica vocale”, ha spiegato
Ridgway. “Questo suggerisce che stesse cercando qualche genere di contatto”.
L'inizio dello studio, come spesso succede, è frutto del caso. Nel lontano
1984, Ridgway e i suoi collaboratori avevano udito suoni insoliti emessi
quando si erano avvicinati alla vasca dei delfini e delle balene: era un po'
come sentire in modo indistinto il dialogo tra due persone un po' distanti.
Tempo dopo, un subacqueo che si era immerso nella stessa vasca era riemerso
chiedendo ai colleghi chi tra loro gli avesse detto di uscire. Poiché
nessuno dei presenti aveva parlato, per esclusione si era arrivati a
individuare il responsabile in NOC, una balena bianca che viveva tra i
delfini e altre balene della stessa specie, e che spesso era circondata da
esseri umani sia mentre era in immersione, sia fuori dall'acqua, cioè a
bordo vasca.
Ridgway decise di andare a fondo nella questione raccogliendo prove. Quindi
negli anni successivi ha registrato diversi audio dei suoni emessi da NOC e
ora l'analisi di questi suoni ha evidenziato un ritmo simile a quello del
parlato umano, con frequenze fondamentali, da 200 a 300 hertz, che erano
diverse ottave più basse rispetto a quelle tipiche dei suoni emessi
comunemente dalle balene.
“L'impronta della voce della balena era più simile a quella di una voce
umana che al vocalizzo consueto della sua specie”, ha aggiunto Ridgway. “I
suoni che abbiamo sentito erano un chiaro esempio di apprendimento vocale da
parte di questo cetaceo”.
Il fenomeno è ancora più stupefacente se si considera che le balene
producono i loro suoni tramite il tratto nasale e non la laringe come
avviene nell'uomo. Lo studio ha permesso di verificare che, per produrre
suoni simili a quelli degli esseri umani, NOC doveva variare la pressione
nel suo tratto nasale effettuando al tempo stesso altri aggiustamenti
anatomici e gonfiando il sacco vestibolare dello sfiatatoio.
Purtroppo NOC è morta cinque anni fa, ma la sua voce rimarrà per sempre.
23 ottobre 2012
Una balena bianca vissuta nell'acquario della statunitense National Marine
Mammal Foundation riusciva a imitare di proposito il ritmo del linguaggio
parlato umano, con frequenze di alcune ottave più basse rispetto ai suoni
emessi comunemente dai cetacei. Lo ha dimostrato un'analisi delle
registrazioni audio raccolte per anni dai ricercatori che hanno studiato NOC
(red)
Le balene possono imitare le voci degli esseri umani. L'incredibile
conclusione, riportata in un articolo pubblicato su «Current Biology» a
firma di Sam Ridgway e colleghi della statunitense National Marine Mammal
Foundation, è frutto dell'analisi dei suoni emessi da NOC, una balena bianca
(Delphinapterus leucas) vissuta in cattività in un delfinario.
“Le nostre rilevazioni portano a ipotizzare che per produrre quei
particolari suoni, simili all'articolazione di un linguaggio umano, la
balena ha dovuto modificare la propria meccanica vocale”, ha spiegato
Ridgway. “Questo suggerisce che stesse cercando qualche genere di contatto”.
L'inizio dello studio, come spesso succede, è frutto del caso. Nel lontano
1984, Ridgway e i suoi collaboratori avevano udito suoni insoliti emessi
quando si erano avvicinati alla vasca dei delfini e delle balene: era un po'
come sentire in modo indistinto il dialogo tra due persone un po' distanti.
Tempo dopo, un subacqueo che si era immerso nella stessa vasca era riemerso
chiedendo ai colleghi chi tra loro gli avesse detto di uscire. Poiché
nessuno dei presenti aveva parlato, per esclusione si era arrivati a
individuare il responsabile in NOC, una balena bianca che viveva tra i
delfini e altre balene della stessa specie, e che spesso era circondata da
esseri umani sia mentre era in immersione, sia fuori dall'acqua, cioè a
bordo vasca.
Ridgway decise di andare a fondo nella questione raccogliendo prove. Quindi
negli anni successivi ha registrato diversi audio dei suoni emessi da NOC e
ora l'analisi di questi suoni ha evidenziato un ritmo simile a quello del
parlato umano, con frequenze fondamentali, da 200 a 300 hertz, che erano
diverse ottave più basse rispetto a quelle tipiche dei suoni emessi
comunemente dalle balene.
“L'impronta della voce della balena era più simile a quella di una voce
umana che al vocalizzo consueto della sua specie”, ha aggiunto Ridgway. “I
suoni che abbiamo sentito erano un chiaro esempio di apprendimento vocale da
parte di questo cetaceo”.
Il fenomeno è ancora più stupefacente se si considera che le balene
producono i loro suoni tramite il tratto nasale e non la laringe come
avviene nell'uomo. Lo studio ha permesso di verificare che, per produrre
suoni simili a quelli degli esseri umani, NOC doveva variare la pressione
nel suo tratto nasale effettuando al tempo stesso altri aggiustamenti
anatomici e gonfiando il sacco vestibolare dello sfiatatoio.
Purtroppo NOC è morta cinque anni fa, ma la sua voce rimarrà per sempre.
martedì 25 settembre 2012
ROB HOPKINS- LA RIVOLUZIONE DOLCE - PARMA 24/9/2012
Le città di transizione
(Transition Towns in inglese) rappresentano un movimento fondato in Irlanda a Kinsale e in Inghilterra a Totnes dall'ambientalista Rob Hopkins negli anni 2005 e 2006. L'obiettivo del progetto è di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida costituita dal sommarsi del riscaldamento globale e del picco del petrolio.
Il movimento è attualmente in rapida crescita e conta centinaia di comunità affiliate in diversi paesi.[2] Storia Il concetto di transizione matura dal lavoro fatto da Rob Hopkins (esperto di permacultura) assieme agli studenti del Kinsale Further Education College, culminato in un saggio dal titolo Energy Descent Action Plan. Questo tratta di approcci multidisciplinari e creativi riguardo a produzione di energia, salute, educazione, economia e agricoltura, sotto forma di "road map" verso un futuro sostenibile per la Città. Uno degli studenti, Louise Rooney, ha poi ulteriormente sviluppato il concetto di città di transizione e lo ha presentato al Kinsale Town Council, il quale con una storica decisione ha adottato il piano e lavora oggi alla propria indipendenza energetica. L'idea è stata poi riformulata ed espansa nel settembre 2006 per la città nativa di Hopkins, Totnes, dove egli oggi vive.
L'iniziativa ha avuto rapida diffusione e, alla data del 4 aprile2012, si segnalano oltre 400 comunità riconosciute ufficialmente come Transition Towns in Regno Unito, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda ed Italia.[2] L'appellativo "città" rappresenta in realtà comunità di diverse dimensioni, da piccoli villaggi (Kinsale) a distretti (Penwith) fino a vere e proprie città (Brixton). In Italia l'unica città di transizione riconosciuta ufficialmente è Monteveglio, in provincia di Bologna.[3] Caratteristiche del progetto Lo scopo principale del progetto è quello di elevare la consapevolezza rispetto a temi di insediamento sostenibile e preparare alla flessibilità richiesta dai mutamenti in corso. Le comunità sono incoraggiate a ricercare metodi per ridurre l'utilizzo di energia ed incrementare la propria autonomia a tutti i livelli.
Esempi di iniziative riguardano la creazione di orti comuni, riciclaggio di materie di scarto come materia prima per altre filiere produttive, o semplicemente la riparazione di vecchi oggetti non più funzionanti in luogo della loro dismissione come rifiuti.Sebbene gli obiettivi generali rimangano invariati, i metodi operativi utilizzati possono cambiare.
Per esempio Totnes ha introdotto una propria moneta locale, il Totnes pound, che è spendibile nei negozi e presso le attività commerciali locali. Questo aiuta a ridurre le "food miles" (distanza percorsa dal cibo prima di essere consumato, causa di inquinamento e dispendio energetico) e supporta l'economia locale.
La stessa idea di moneta locale verrà introdotta in tre Transition Towns gallesi.
Fulcro del movimento delle Transition Town è l'idea che una vita senza petrolio può in realtà essere più godibile e soddisfacente dell'attuale. "Ragionando fuori dallo schema corrente, possiamo in realtà riconoscere che la fine dell'era di petrolio a basso costo è un'opportunità piuttosto che una minaccia, e possiamo progettare la futura era a bassa emissione di anidride cabonica come epoca fiorente, caratterizzata da flessibilità e abbondanza - un posto molto migliore in cui vivere dell'attuale epoca di consumo alienante basato sull'avidità, sulla guerra e sul mito di crescita infinita".
Futuro del progetto
Il numero di comunità coinvolte nel progetto è in costante crescita, con molte città prossime alla "ufficializzazione". Il movimento riceve sempre maggiore attenzione da parte dei media grazie alla propria rapida crescita.
ESPERIENZA A TOTNES
(Transition Towns in inglese) rappresentano un movimento fondato in Irlanda a Kinsale e in Inghilterra a Totnes dall'ambientalista Rob Hopkins negli anni 2005 e 2006. L'obiettivo del progetto è di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida costituita dal sommarsi del riscaldamento globale e del picco del petrolio.
Il movimento è attualmente in rapida crescita e conta centinaia di comunità affiliate in diversi paesi.[2] Storia Il concetto di transizione matura dal lavoro fatto da Rob Hopkins (esperto di permacultura) assieme agli studenti del Kinsale Further Education College, culminato in un saggio dal titolo Energy Descent Action Plan. Questo tratta di approcci multidisciplinari e creativi riguardo a produzione di energia, salute, educazione, economia e agricoltura, sotto forma di "road map" verso un futuro sostenibile per la Città. Uno degli studenti, Louise Rooney, ha poi ulteriormente sviluppato il concetto di città di transizione e lo ha presentato al Kinsale Town Council, il quale con una storica decisione ha adottato il piano e lavora oggi alla propria indipendenza energetica. L'idea è stata poi riformulata ed espansa nel settembre 2006 per la città nativa di Hopkins, Totnes, dove egli oggi vive.
L'iniziativa ha avuto rapida diffusione e, alla data del 4 aprile2012, si segnalano oltre 400 comunità riconosciute ufficialmente come Transition Towns in Regno Unito, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda ed Italia.[2] L'appellativo "città" rappresenta in realtà comunità di diverse dimensioni, da piccoli villaggi (Kinsale) a distretti (Penwith) fino a vere e proprie città (Brixton). In Italia l'unica città di transizione riconosciuta ufficialmente è Monteveglio, in provincia di Bologna.[3] Caratteristiche del progetto Lo scopo principale del progetto è quello di elevare la consapevolezza rispetto a temi di insediamento sostenibile e preparare alla flessibilità richiesta dai mutamenti in corso. Le comunità sono incoraggiate a ricercare metodi per ridurre l'utilizzo di energia ed incrementare la propria autonomia a tutti i livelli.
Esempi di iniziative riguardano la creazione di orti comuni, riciclaggio di materie di scarto come materia prima per altre filiere produttive, o semplicemente la riparazione di vecchi oggetti non più funzionanti in luogo della loro dismissione come rifiuti.Sebbene gli obiettivi generali rimangano invariati, i metodi operativi utilizzati possono cambiare.
Per esempio Totnes ha introdotto una propria moneta locale, il Totnes pound, che è spendibile nei negozi e presso le attività commerciali locali. Questo aiuta a ridurre le "food miles" (distanza percorsa dal cibo prima di essere consumato, causa di inquinamento e dispendio energetico) e supporta l'economia locale.
La stessa idea di moneta locale verrà introdotta in tre Transition Towns gallesi.
Fulcro del movimento delle Transition Town è l'idea che una vita senza petrolio può in realtà essere più godibile e soddisfacente dell'attuale. "Ragionando fuori dallo schema corrente, possiamo in realtà riconoscere che la fine dell'era di petrolio a basso costo è un'opportunità piuttosto che una minaccia, e possiamo progettare la futura era a bassa emissione di anidride cabonica come epoca fiorente, caratterizzata da flessibilità e abbondanza - un posto molto migliore in cui vivere dell'attuale epoca di consumo alienante basato sull'avidità, sulla guerra e sul mito di crescita infinita".
Futuro del progetto
Il numero di comunità coinvolte nel progetto è in costante crescita, con molte città prossime alla "ufficializzazione". Il movimento riceve sempre maggiore attenzione da parte dei media grazie alla propria rapida crescita.
ESPERIENZA A TOTNES
Finalmente, dopo tanto attendere, è arrivato anche in italiano il "Manuale
Pratico della Transizione ", il testo scritto da Rob Hopkins, fondatore del
movimento delle Transition Town, una rete di comunità locali che si pone
l'obiettivo di realizzare in maniera morbida ed in forma proattiva le grandi
sfide che il picco del petrolio ed i cambiamenti climatici impongono alla
nostra generazione: il passaggio dall'era dei combustibili fossili alla
civiltà post-petrolifera a ridotte emissioni di gas serra.
Alcune comunità ed iniziative pionieristiche di Transizione sono già attive
anche nel nostro paese grazie all'impegno di Transition Italia , il nodo
italiano del network internazionale del movimento della transizione. La
prima città di Transizione è stata Monteveglio in provincia di Bologna dove
il coinvolgimento della comunità a tutti i livelli è così forte che
recentemente il consiglio comunale ha ufficialmente deliberato "la
fuoriuscita dal petrolio e dai combustibili fossili come politica
prioritaria di questa amministrazione".
Qualcuno si interrogherà con quale magica alchimia i "ragazzi" di Transition
Italia siano riusciti a convincere un'amministrazione locale a pronunciarsi
su un tema tanto importante quanto frequentemente sottaciuto quale quello
della dipendenza dal petrolio?
Questa è la domanda alla quale il "Manuale Pratico della Transizione " può
dare una risposta.
Nel testo viene descritto come avviare, passo dopo passo, la transizione
all'interno della vostra comunità, stimolandola a progettare ed a realizzare
concretamente un modello alternativo nella produzione dei beni primari, nei
consumi e negli stili di vita.
Grazie anche al resoconto delle esperienze già realizzate od in atto in
varie parti del mondo, avrete modo di leggere come è possibile trasformare,
con un approccio dal basso, ma scientifico e pragmatico, quelli che sembrano
un problemi insormontabili, in una grande opportunità per liberare
quest'epoca dalla schiavitù tossica e pericolosa delle fonti energetiche non
rinnovabili.
Incontrerete nella lettura parole curiose, rare od inconsuete come
resilienza,relocalizzazione, permacultura, open space tecnology. Ne
comprenderete appieno l'importante significato a tutto tondo e come siano
collegate alla sovranità alimentare, alle monete complementari ed ai
processi partecipativi dal basso nella gestione dei beni comuni e del
proprio futuro.
Imparerete come i principi della permacultura nella loro implementazione,
non solo in campo agricolo, permettono di avere rendimenti eccezionali con
un lavoro ridotto ed uno scarso impiego di energia e risorse.
Scoprirete che la relocalizzazione è la via per rendere più autosufficiente
e maggiormente vivibile la propria città tutelando la prosperità della sua
economia reale grazie alla ritrovata indipendenza dalla volatilità del
mercato globale, all'acquisizione di nuove competenze adatte alle esigenze
di scenari energetici in veloce cambiamento ed alla contemporanea riscoperta
delle utili tradizioni dimenticate della vostra comunità.
La transizione è un fenomeno contagioso: dopo la lettura di questo libro, ed
avendone esplorato i suoi mille aspetti, è quindi difficile che non ne
verrete coinvolti in prima persona diventandone anche voi partecipi e
promotori appassionati.
Pratico della Transizione ", il testo scritto da Rob Hopkins, fondatore del
movimento delle Transition Town, una rete di comunità locali che si pone
l'obiettivo di realizzare in maniera morbida ed in forma proattiva le grandi
sfide che il picco del petrolio ed i cambiamenti climatici impongono alla
nostra generazione: il passaggio dall'era dei combustibili fossili alla
civiltà post-petrolifera a ridotte emissioni di gas serra.
Alcune comunità ed iniziative pionieristiche di Transizione sono già attive
anche nel nostro paese grazie all'impegno di Transition Italia , il nodo
italiano del network internazionale del movimento della transizione. La
prima città di Transizione è stata Monteveglio in provincia di Bologna dove
il coinvolgimento della comunità a tutti i livelli è così forte che
recentemente il consiglio comunale ha ufficialmente deliberato "la
fuoriuscita dal petrolio e dai combustibili fossili come politica
prioritaria di questa amministrazione".
Qualcuno si interrogherà con quale magica alchimia i "ragazzi" di Transition
Italia siano riusciti a convincere un'amministrazione locale a pronunciarsi
su un tema tanto importante quanto frequentemente sottaciuto quale quello
della dipendenza dal petrolio?
Questa è la domanda alla quale il "Manuale Pratico della Transizione " può
dare una risposta.
Nel testo viene descritto come avviare, passo dopo passo, la transizione
all'interno della vostra comunità, stimolandola a progettare ed a realizzare
concretamente un modello alternativo nella produzione dei beni primari, nei
consumi e negli stili di vita.
Grazie anche al resoconto delle esperienze già realizzate od in atto in
varie parti del mondo, avrete modo di leggere come è possibile trasformare,
con un approccio dal basso, ma scientifico e pragmatico, quelli che sembrano
un problemi insormontabili, in una grande opportunità per liberare
quest'epoca dalla schiavitù tossica e pericolosa delle fonti energetiche non
rinnovabili.
Incontrerete nella lettura parole curiose, rare od inconsuete come
resilienza,relocalizzazione, permacultura, open space tecnology. Ne
comprenderete appieno l'importante significato a tutto tondo e come siano
collegate alla sovranità alimentare, alle monete complementari ed ai
processi partecipativi dal basso nella gestione dei beni comuni e del
proprio futuro.
Imparerete come i principi della permacultura nella loro implementazione,
non solo in campo agricolo, permettono di avere rendimenti eccezionali con
un lavoro ridotto ed uno scarso impiego di energia e risorse.
Scoprirete che la relocalizzazione è la via per rendere più autosufficiente
e maggiormente vivibile la propria città tutelando la prosperità della sua
economia reale grazie alla ritrovata indipendenza dalla volatilità del
mercato globale, all'acquisizione di nuove competenze adatte alle esigenze
di scenari energetici in veloce cambiamento ed alla contemporanea riscoperta
delle utili tradizioni dimenticate della vostra comunità.
La transizione è un fenomeno contagioso: dopo la lettura di questo libro, ed
avendone esplorato i suoi mille aspetti, è quindi difficile che non ne
verrete coinvolti in prima persona diventandone anche voi partecipi e
promotori appassionati.
domenica 23 settembre 2012
UN PAPIRO CONFERMA : GESU' ERA SPOSATO
La notizia è di quelle bomba e potrebbero realmente rivoluzionare il modo di intendere la religione cattolica, tanto da far crollare letteralmente alcuni muri ideologici del Vaticano. Nel corso di un convegno tenutosi a Roma, una storica della Cristianità antica alla Harvard Divinity School, ha presentato un frammento di papiro in copto risalente al quarto secolo d. C. che conterrebbe una frase mai esistita nelle Sacre Scritture: “Gesù disse loro: Mia moglie….”. Si tratta di otto righe riportate da un frammento grande quanto un bigliettino da visita, leggibile solo grazie ad una lente di ingrandimento. “Lei sarà in grado di essere mia discepola”, si legge ancora nel testo, stando a quanto riportato dal New York Times.
Romanzi come il “Codice da Vinci” o il “Vangelo di Maria Maddalena”, veri e propri best seller dell’ultimo decennio, potrebbero finalmente trovare riscontri storici nelle loro tesi (entrambi facevano riferimento ad un rapporto tra Gesù e Maria Maddalena). A dare l’annuncio della scoperta è stata Karen King. King. Al momento in cui scriviamo la provenienza del papiro resta un mistero, così come non si conosce il proprietario che lo ha gentilmente agevolato all’università americana. Analizzato sin qui da alcuni papirologi e linguisti, pare che il frammento sia autentico, ma nei prossimi giorni verrà sottoposto ad ulteriori indagini da parte degli esperti.
Intervistata dal New York Times e da altri giornali americani, la King ha sottolineato che il frammento non è la prova che il Gesù storico fosse effettivamente sposato, ma che è alquanto singolare che un testo di quattro secoli dopo la morte di Cristo confermi antiche tradizioni secondo cui Gesù era stato sposato.“Ce n’era una già nel secondo secolo legata al dibattito se i cristiani dovessero sposarsi e avere rapporti sessuali”, conclude la studiosa di Harvard.
A newly-uncovered ancient papyrus shows that some early Christians believed that Jesus was married, a Harvard professor told the 10th International Congress of Coptic Studies.
Christian tradition has long held that Jesus was unmarried even though there was no reliable historical evidence to support that, Ms King said. The new gospel, she said, "tells us that the whole question only came up as part of vociferous debates about sexuality and marriage."
"From the very beginning, Christians disagreed about whether it was better not to marry," she said, "but it was over a century after Jesus's death before they began appealing to Jesus's marital status to support their positions."
Ms King presented the document at a six-day conference being held at Rome's La Sapienza University and at the Augustinianum institute of the Pontifical Lateran University.
While the Vatican newspaper and Vatican Radio frequently cover such academic conferences, there was no mention of Ms King's discovery in any Vatican media on Tuesday. That said, her paper was one of nearly 60 delivered on Tuesday at the vast conference, which drew 300 academics from around the globe.
The fragment belongs to an anonymous private collector who contacted Ms King to help translate and analyse it. Nothing is known about the circumstances of its discovery, but it had to have come from Egypt, where the dry climate allows ancient writings to survive and because it was written in a script used in ancient times there, Ms King said.
The unclear origins of the document should encourage people to be cautious, said Bible scholar Ben Witherington III, a professor and author who teaches at Asbury Theological Seminary in Wilmore, Kentucky. He said the document follows the pattern of Gnostic texts of the second, third and fourth centuries, using "the language of intimacy to talk about spiritual relationships."
"What we hear from the Gnostic is this practice called the sister-wife texts, where they carried around a female believer with them who cooks for them and cleans for them and does the usual domestic chores, but they have no sexual relationship whatsoever" during the strong monastic periods of the third and fourth centuries, Mr Witherington said. "In other words, this is no confirmation of the Da Vinci Code or even of the idea that the Gnostics thought Jesus was married in the normal sense of the word."
These kinds of doubts, Ms King said, should not stop scholars from continuing to examine the document.
Those who conducted initial examination of the fragment include Roger Bagnall, a papyrologist who's the director of the New York-based Institute for the Study of the Ancient World, and Annemarie Luijendijk, a scholar of the New Testament and early Christianity from Princeton University. They said their study of the papyrus, the handwriting and how the ink was chemically absorbed shows it is highly probable it's an ancient text, Ms King said.
Another scholar, Ariel Shisha-Halevy, professor of linguistics at Hebrew University and a leading expert on Coptic language, reviewed the text's language and concluded it offered no evidence of forgery.
Ms King and Ms Luijendijk said they believe the fragment is part of a newly discovered gospel they named "Gospel of Jesus's Wife" for reference purposes. King said she dated the time it was written to the second half of the second century because it shows close connections to other newly discovered gospels written at that time, especially the Gospel of Thomas, the Gospel of Mary and the Gospel of Philip.
Source: agencies
Video courtesy: Havard Divinity School
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UN PAPIRO CONFERMA : GESU' ERA SPOSATO
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