venerdì 25 ottobre 2013

INQUINAMENTO E TUMORI INFANTILI - CITTA' INCENERITE





 Impronte ambientali nel Dna
 L'inquinamento ha raggiunto i gameti: tumori anche sotto l'anno di età.
A Parma invece si discute se l'inceneritore sia una risorsa. Incompetenza abissale o occhiolino al camino dei profitti?

http://www.sanita.ilsole24ore.com/art/dibattiti-e-idee/2013-10-16/impronte-ambientali-170934.php?uuid=AbpxrvuI
di Rosanna Magnano

Di fronte ai dati sul rallentamento in Italia della crescita dei tumori infantili, documentato dal Rapporto Airtum 2012, epidemiologi e medici si interrogano. Sulla effettiva significatività delle rilevazioni e sul rischio che seguendo l'onda di un incauto ottimismo scenda un'ulteriore coltre di nebbia su un fenomeno che è stato invece in continua crescita per almeno 20 anni in tutta Europa, con l'Italia in evidenza per i dati peggiori, tra i partner Ue. E soprattutto sui legami tra tumori infantili (e altre patologie cronico-degenerative in aumento) e inquinamento ambientale. A fare il punto la V Giornata in memoria di Lorenzo Tomatis, organizzata a Roma dall'Iss e dall'Associazione medici per l'ambiente-Isde Italia.

Il ruolo dell'inquinamento ambientale.
 «Uno degli studi più completi e autorevoli, condotti dalla Iarc sulla base di 63 registri oncologici di 19 Paesi europei, per un totale di 130mila tumori - sottolinea il pediatra Ernesto Burgio, presidente del Comitato scientifico Isde - ha documentato una crescita di oltre l'1% annuo dei tumori infantili, ma soprattutto un aumento significativo, del 2% l'anno, per i tumori sotto l'anno di età. Il che significa che il cancro del bambino è nato nel feto, nell'embrione o addirittura nei gameti. A dire questo per la prima volta nel mondo è stato Tomatis. Gli oncologi pediatrici sono assolutamente convinti dell'aumento dei casi, perché li vedono quotidianamente in crescita continua. Ora c'è stata questa bella monografia dell'Airtum, che in qualche modo, a mio parere, dando rilievo a dati troppo recenti e poco significativi per quanto riguarda la quantità, rileva dati più rassicuranti per l'Italia negli ultimi anni. Ma stiamo parlando di pochi registri, in un Paese in cui c'è stato il maggior aumento assoluto di casi di tumori infantili. Secondo lo studio Iarc, siamo quelli che vanno peggio, con 170 nuovi casi ogni anno (per milione di bambini), a fronte di una media di 140 per gli altri Paesi. A questo punto, il problema diventa: come possiamo spiegarcelo? Secondo Tomatis, questa nuova branca della genetica, l'epigenetica, spiega in qualche misura una serie di passaggi: questa parte del genoma più flessibile, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo, è influenzata dall'ambiente e dall'inquinamento, dall'esposizione materna e fetale ad agenti che possono passare dalla placenta fino al feto, condizionandone il programma genomico, ossia il modo in cui il Dna si esprime lungo tutto il corso della vita. Secondo alcuni, questo meccanismo può spiegare l'aumento delle malattie del neurosviluppo, come l'autismo, o delle malattie metaboliche e secondo noi anche dei tumori infantili. La nota positiva è che le trasformazioni dell'epigenoma sono reversibili. Quindi basta individuare quali sono le esposizioni a rischio, della ragazza in età fertile e della madre in gravidanza, e si può fare molto». In una parola «prevenzione primaria». «Qualcuno deve spiegare alle madri che il benzene è leucenogeno - conclude Burgio - che non deve esporsi al particolato fine, che non deve mangiare troppo tonno in scatola. Insomma anche nelle zone più inquinate, la madre può e deve proteggersi».

La prevenzione mancata.
Una proposta concreta arriva dall'epidemiologo Benedetto Terracini, già professore di Epidemiologia dei tumori all'Università di Torino: «L'Isde dovrebbe impegnarsi prioritariamente per impedire l'esposizione di embrioni e bambini a quelle circostanze di rischio che sicuramente causano malattie non neoplastiche. Si otterrebbe anche il risultato di proteggere embrioni e bambini da alcune circostanze di rischio per le quali si ritiene che probabilmente o possibilmente causano malattie tumorali, comprese quelle per le quali l'evidenza non supera la soglia di una discutibile congettura». Rispetto ai dati sull'incidenza dei tumori infantili in Italia, l'epidemiologo pone un quesito: «I cambiamenti degli andamenti temporali dell'incidenza dei tumori infantili in Italia sono sufficientemente preoccupanti per essere portati all'attenzione delle autorità di salute pubblica per la considerazione di qualche forma di intervento preventivo?».

Il latte materno.
Una spia del livello di contaminazione ambientale e punto dolente della prevenzione è rappresentato dal latte materno. Il latte umano può essere considerato infatti un indicatore "ideale" per valutare l'esposizione delle popolazioni a inquinanti ambientali come le diossine e i Pcb che, essendo sostanze lipofile e bioaccumulabili, si concentrano in particolare nella componente grassa delle matrici biologiche. Secondo i dati presentati dall'oncologa Patrizia Gentilini, si può stimare che un neonato alimentato con circa un litro di latte materno al giorno contenente il 4% di grassi, assuma, invece di 2 pg/Kg/giorno di diossine (identificati dalla Ue) o di 0,7 pg/Kg/giorno (seconda l'Epa): 40 pg/kg in Norvegia o Finlandia; 80 pg/kg a Montale o Forlì in prossimità di inceneritori di rifiuti; da 100 a 320 pg/kg (in media 200 pg/kg) a Taranto, grazie alle emissioni dello stabilimento siderurgico e ben 1.200 pg/kg a Brescia (in prossimità del polo chimico Caffaro).

Disuguaglianze.

Se è vero che l'inquinamento diffuso colpisce tutta la popolazione, a prescindere dal reddito. È vero tuttavia che la disparità di accesso alle cure determina esiti differenti anche nel caso dei tumori infantili. Nei Paesi a basso reddito, infatti, il numero assoluto dei tumori è in rapida crescita, c'è un forte divario tra incidenza e mortalità, le diagnosi sono tardive, la sopravvivenza è bassa e molti tumori hanno origine infettiva. «L'80% dei pazienti africani - spiega Paolo Vineis (Imperial College London) - non hanno accesso alla radioterapia. E nei Paesi a basso reddito mancano almeno 7.000 macchine per la radioterapia».

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