I denti come causa di malattie e basse aspettative di vita nei
secoli
passati?
di Lorenzo Acerra
31 luglio 2012
Un
problema molto comune nel diciassettesimo e diciottesimo secolo erano i
denti
consumati dalla carie che dopo qualche disagio sembrava che non
dessero più
fastidio e quindi venivano lasciati stare in bocca. Due autori
del 700, il
famoso Pierre Fauchard (1728) e il chirurgo generale
dell'esercito inglese
John Hunter (1771), segnalarono numerose guarigioni da
reumatismi, malattie
di occhi, orecchie e sistema nervoso ottenute grazie
alla bonifica della
bocca da questi denti. Anche il celebre Christopher
William Hufeland
(1762-1836) parlò di questo spiegando che una bocca sana,
liberata dai denti
con carie profonde era l'unica possibilità di arrivare a
vivere a
lungo.
Il Goethe (1749-1832) s'interessò agli insegnamenti di Hufeland
dopo che una
malattia che sembrava mortale fu risolta dall'estrazione di un
dente
infetto. Tutti i tentativi precedenti di terapia avevano fallito. Il
Goethe
visse altri 64 anni dopo quell'incidente, arrivò all'età di 83
anni
completamente sdentato, seguendo perciò il consiglio di Hufeland di
togliere
i denti infetti man mano che si presentavano (Neuhauser 1982,
Hufeland
1797). Un altro esempio sotto gli occhi di tutti è quello di Mozart
(1756 -
1791) che un anno prima della sua morte ebbe alcuni ascessi dentali
che non
furono trattati con l'estrazione. Ciò ha forse potuto contribuire sia
ad una
recidiva dei reumatismi che al decorso estremamente sfavorevole della
sua
malattia. Mozart aveva ancora dieci denti al momento della sua morte, di
cui
tre denti con carie profonda, non estratti e nemmeno trattati (Bär
C.,
"Mozarts Zahnkrankheiten", Acta Mozartiana 9, 1962, 3, pp.47-54).
"Per
secoli," scriveva John Hunter (1771), "i medici hanno dovuto prendere
atto
del fatto che i denti con la loro struttura particolare sono
suscettibili di
diventare la sede di piccole lesioni croniche infiammatorie
localizzate che
danno luogo a disturbi sistemici incredibilmente seri, anche
quando
localmente nella bocca il disturbo infiammatorio sembra quasi
inesistente."
Nell'arco dei 150 anni che seguirono troviamo segnalate
nella letteratura
medica del tempo all'incirca 25.000 - 30.000 osservazioni
simili, per
esempio la guarigione da una sordità fulminante nel momento
dell'eruzione di
un dente del giudizio (J.G. Pasch 1775) e il ritorno del
flusso mestruale in
una donna che per anni non ne aveva avuto, ottenuto
grazie all'estrazione di
un dente con carie profonda (Willich 1778).
Delaroche (1798) riportò un caso
simile in una donna che soffriva di mestruo
molto scarso con sintomi
d'infiammazione gengivale dal lato destro, e ciò
solo in corrispondenza
dell'arrivo di queste scarse mestruazioni. Andando a
valutare la salute
della bocca, il medico scoprì dei denti cariati in
profondità la cui
estrazione fece anche scomparire definitivamente le
anomalie del mestruo.
E arriviamo al 1801: epilessia, dermatiti, problemi
digestivi, mal di testa
e artriti venivano guariti con l'estrazione dei denti
infetti dal Dr.
Benjamin Rush, firmatario della dichiarazione d'indipendenza.
Egli scriveva:
"Le terapie delle malattie croniche diventano molto più
soddisfacenti se
vengono associate alla bonifica di tutti i denti infetti che
uno trova nella
bocca dei pazienti." Per esempio Rush ci dice che fu
consultato dal padre di
un giovane di Baltimore che soffriva di epilessia,
subito si informò sui
denti e risultò che molti di quelli sull'arcata
superiore avevano carie
profonde. La loro estrazione infatti portò ad una
perfetta guarigione.
Oppure la signorina A.C., affetta da reumatismo all'anca
già da alcuni anni,
aveva avuto di recente un grave peggioramento ed era
comparso anche un
leggero fastidio ad un dente. Rush prontamente le consigliò
di far estrarre
questo dente e fu così che i sintomi scomparvero del tutto.
Rush era
assolutamente entusiasta su tutta questa discussione che le
patologie dei
denti potessero rivelarsi così spesso la causa di malattie
apparentemente
inguaribili ed invocava a testimoni i numerosi autori che lo
avevano
preceduto.
Uno dei primi sforzi "moderni" di classificare la
scienza dentale risale ad
un importante chirurgo tedesco, Fabricius Hildanus
(1560-1634), che nel suo
manuale segnalava centinaia di testimonianze di
emicranie e malattie
sistemiche che erano state guarite estraendo denti
cariati in profondità,
laddove tutti i rimedi usati in precedenza non avevano
apportato il benchè
minimo beneficio. Nicolas Tulp (1593-1674), un rinomato
medico di Amsterdam
esperto di anatomia, osservò che le malattie dei denti
potevano dare origine
alle conseguenze più nefaste, persino essere causa di
morte. Dopo di lui
Charles St. Yves (1667-1733), Marcello Malpighi
(1628-1694) e Frederik
Ruysch (1638-1731) si distinsero per le loro indagini
sui denti e le loro
osservazioni che i denti malati potessero diventare la
causa di vari tipi di
patologie nell'organismo. Stiamo parlando dei più
illustri medici
dell'epoca. Nathaniel Highmore (1630-1690) descrisse parecchi
casi di
sinusiti che guarivano dopo l'estrazione di denti con carie
profonde.
Christopher Schelhammer (1649 -1719), che fu professore di anatomia
in
diverse università tedesche, specializzato in malattie delle orecchia,
notò
che poteva assicurare una guarigione solo a quei pazienti che
accettavano di
curare le carie superficiali ed estrarre i denti con carie
troppo profonde.
Giorgio Baglivi, medico di Innocente XII e Clemente XI,
autore di manuali
medici famosissimi, osservò nel suo Canone di Medicina: "Le
persone i cui
denti hanno un cattivo odore o che hanno cambiato colore
nonostante i
lavaggi giornalieri, hanno sempre una debolezza della funzione
dello
stomaco, quasi sempre una tendenza all'indigestione, mal di testa dopo
i
pasti, una salute generale poco soddisfacente e una tendenza al malumore.
Se
impegnati nello studio o negli affari, queste persone sono impazienti
ed
irritabili, oppure vittime di episodi di capogiri. Le
frequenti
indisposizioni di stomaco danno loro sonnolenza, risveglio lento e
comunque
un sonno poco ristoratore." (Baglivi, Opera Omnia Medico. Practica
et
Anatomica, Lugduni, 1710).
Se facciamo ancora un passo indietro nel
tempo, Ippocrate (460 - 375 a.C.)
segnalò numerosissimi esempi in cui la
patologia dentale aveva l'effetto
d'iniziare reazioni in altre parti del
corpo. Per esempio affermò che "un
reumatismo che resisteva ai tentativi di
guarigione poteva essere eliminato
estraendo eventuali denti compromessi" (On
Epidemics, Hb. ii, section i, p.
1002). Il più famoso medico di tutti i tempi
aveva le idee chiare e infatti
dichiarò che la maggior parte delle
suppurazioni focali causate dai denti
provenivano dalle infiammazioni create
dai denti del giudizio. Per esempio
nel caso di un ragazzo che aveva dolore
in un terzo molare dell'arcata
inferiore destra, Ippocrate si diceva sicuro
del ruolo causale di quella
situazione dentale sulla suppurazione a carico
dell'orecchio dello stesso
lato. Anche di recente numerosi autori,
confrontando mandibole
dall'antichità ad oggi, hanno spiegato che i denti del
giudizio sono un
attavismo – derivato da un'epoca quando il muso dei nostri
antenati era più
lungo, mentre oggi invece il dente del giudizio purtroppo
spunta sul ramo
ascendente della mandibola (Adler 1972, Mieg 1999, Lechner
1991, Grossman
1996). Non solo a volte il dente del giudizio non spunta
proprio fuori ma,
quando lo fa, spesso si presenta con un anomalo grado di
inclinazione oppure
comunque soffre la mancanza di spazio e in vari modi ciò
crea situazioni
croniche d'infiammazione locali e focali (vedi:
http://www.medicinenon.it/tutte-le-terapie-falliscono-valutazioni-sui-denti-
del-giudizio
).
Ippocrate si rifaceva in realtà alla tradizione di Esculapio, che
rimase in
vigore tra il 1100 a.C. e il 400 d.C. e che inizialmente veniva
praticata
solo dai sacerdoti dei templi esculaplei, per esempio quelli di
Epidauro,
Cos, Cnydus, and Rodi, mentre in seguito fu ripresa anche da
guaritori non
sacerdoti. Ippocrate operava al tempio di Cos. Un altro
argomento affrontato
era il contributo infiammatorio notevole apportato dai
periodi di dentizione
difficile nei bambini che poteva far insorgere problemi
in numerose diverse
parti dell'organismo. Quest'idea in realtà, accennata da
Omero nell'Odissea,
apparteneva anche ad Esculapio ed è stata descritta dalla
letteratura di
ogni epoca, dagli scritti in India del 1000 a.C. fino a
Soranus di Efeso
(117 d.C.) e ai medici del diciassettesimo secolo. Questa
osservazione
ricorrente su disturbi a distanza che vengono innescati da
un'infiammazione
nella bocca evidentemente venne accolta dal modus operandi
olistico di
Esculapio che spesso chiamava in causa la "forza
vitale".
In questo testo ci dobbiamo accontentare di seguire alcuni
aspetti del
discorso nelle parole di Ippocrate, che sono più concrete e che
ci vengono
da fonti dirette, perché tutte le fonti che citano l'approccio
olistico di
Esculapio sono così entusiaste da apparire miticizzate. Nello
stabilire la
diagnosi di una malattia, Ippocrate consigliava di cercare il
suo punto di
partenza. Per esempio se si trattava di mal di testa, di
disturbi alle
orecchie o agli occhi, o di un qualsiasi sintomo su un lato
solo del corpo,
insisteva che la causa poteva essere spesso rintracciata in
qualche
infiammazione nelle aree dei denti. La famosa massima ippocratica,
"le
malattie dovrebbero essere combattute alla loro origine", esprime
proprio
questo modo di pensare.
Ippocrate aveva l'abitudine di fare
osservazioni a 360° prendendo una gran
quantità di appunti, proprio perché
cercava di capire quale "spina
irritativa" potesse essere la più rilevante
nel caso specifico, la fonte
degli "umori dannosi" che stavano invadendo
l'organismo e creando il
disturbo. La valutazione dello stato dei denti era
preponderante, un
elemento onnipresente nella sua indagine. Tutti i medici
ippocratici
dell'antichità avevano questo punto di vista, come per esempio
Erofilo e
Erasistrato, illustri dottori della scuola medica di Alessandria
(300 a.C.).
Interessante anche notare che il famoso enciclopedista e
ricercatore medico
romano, Aulo Cornelio Celso (25 a.C. - 50 d.C.) non fece
altro che
tramandare la tradizione medica ippocratica. Apprendiamo da Celso
che i
denti che causano il ritiro delle gengive sono morti e il terapeuta che
non
li prende in considerazione non riuscirà a far guarire i suoi
pazienti.
Detto in altre parole, "A tutti quelli che non conoscono la causa
della
malattia, risulterà anche impossibile curarla". Secondo quanto
spiegava
Ippocrate, Celso coniò la famosa frase: "rubor, tumor, calor, dolor,
functio
lesa" (ripresa da Galeno, che nel 200 d.C. scrisse tre libri di
commentari
su Ippocrate), che descrive nell'ordine: (rubor) foci
infiammatori, (tumor)
rigonfiamento, concentrazione e perimetrazione di un
focus di metaboliti
infiammatori, (calor) la reazione primaria del sistema
immunitario, (functio
lesa) una fase tardiva, cronica, caratterizzata dalla
degenerazione del
tessuto invaso a distanza quando il sistema immunitario è
sfiancato e meno
efficiente.
Sfortunatamente nei secoli ci si
dimenticherà quasi del tutto
l'incoraggiamento di Ippocrate sulla necessità
d'indagare la presenza
nell'organismo di siti primari di infiammazione o di
putrefazione
localizzata, come per esempio l'interno dei denti compromessi,
che diventa
il fattore causale di disturbi a distanza, prima indebolendo le
difese del
sistema di regolazione e poi trasmigrando in altri siti secondo
meccanismi
di locus minoris resistentiae.
Questo modo di pensare sui
denti lo ritroviamo anche in pieno medio evo,
presso i guaritori naturali. La
loro diagnosi partiva dalla bocca e la
guarigione veniva coadiuvata da
cambiamenti di alimentazione, impacchi e
tisane con fitoterapici specifici
per risvegliare la presenza dell'organismo
nelle parti ammalate. Anche i
professori delle prime università di medicina
raccomandavano l'estrazione dei
denti malati per la cura delle patologie
degli occhi e delle orecchie e di
altri organi distanti (Ambroise Pare,
1517-1590, Giovanni Andrea Della Croce,
1533-1603, e Pieter van Foreest
1522-1597). Questi autori erano finanche a
conoscenza del fatto che numerosi
malanni potevano essere fatti risalire a
qualche frammento di radice rimasto
nell'osso mandibolare nel corso di
precedenti estrazioni dentali.
Nel 1838 il Dr. Shearjashub Spooner
scriveva: "Non credo sia il caso di
dubitare ancora che le malattie dei denti
siano in grado di causare dei
disturbi fisici a distanza e possano
contribuire allo sviluppo di malattie
sistemiche croniche." E citava oltre
alle sue osservazioni personali una
quarantina di esempi di simili guarigioni
pubblicati da Leonard Koecker in
"Grundsätze der Zahn-Chirurgie" (Weimar,
1828). Fu proprio negli anni
seguenti che ci fu lo scisma ufficiale e
definitivo tra medicina e
odontoiatria. Nel 1851 il prof. Thomas Bond,
dell'Università di Baltimora,
era protagonista di un ulteriore tentativo di
ricucire la disattenzione
crescente dei medici su questo argomento
invitandoli a "non sottovalutare la
patologia dentale come causa di
difficoltà organiche a distanza, come invece
sta accadendo oggi che facciano
i più." Per quanto in questo periodo ci
siano ancora molti autori interessati
a questo tema, significativo è il
seguente passaggio di Samuel Fitch, autore
di "System of Dental Surgery"
(1827): "Voi mi direte, com'è possibile che la
correlazione tra patologie
dentali e malattie sistemiche, se è vera, sfugga
all'attenzione della più
parte dei medici? Ebbene dovete sapere che gli
insegnamenti sui denti da
alcuni decenni sono stati tolti dal curriculum
formativo dei medici,
dopodichè questi generalmente non hanno la curiosità di
valutare l'argomento
in relazione alle malattie che sono già impegnati a
curare con un folto
arsenale di sostanze."
Fitch tra le altre cose
raccolse un'ampia casistica sulle infezioni dentali
come fattore decisivo
nello sviluppo della tubercolosi. Anche Leyden (1867),
Fuller (1881), Jaffe
(1886) e Israel (1886) segnalarono diversi casi di
tubercolosi polmonare che
guarivano in seguito all'estrazione di denti
compromessi. Ungar (1884)
richiamò l'attenzione alla caratteristica
ulcerazione delle gengive, che nel
caso specifico di un suo paziente
tubercolotico nasceva proprio da un dente
cariato in profondità. Il dente
sospetto fu rimosso ottenendo un sorprendente
recupero delle condizioni di
salute del paziente.
Già Areteo di
Cappadocia aveva descritto una considerevole infiammazione
della gengiva nel
primo caso di tubercolosi mai consegnato alla storia nel
1° secolo d.C. (De
causis et signis diuturnorum morborum).
William Duke nel suo "Oral sepsis
in its relationship to systemic disease"
(1918) invitava i suoi colleghi a
trattare la tubercolosi e i casi di tabes
dorsalis con la bonifica delle
infezioni dentali, perché queste potessero
essere la causa principale o
comunque un co-fattore decisivo nel decorso di
queste malattie. Anche il
celebre chirurgo francese Antoine Petit aveva
pubblicato nel 1750 alcuni casi
di guarigione di tubercolosi di lunga data
ottenuta in seguito all'estrazione
di denti malandati. Il Dr. Gater (1801)
oltreoceano quotava nel 1801 due casi
di guarigione, uno da consunzione ed
un altro da vertigine, entrambi che
duravano già da parecchi anni, con
l'estrazione semplicemente di due denti
mal messi.
Nel 1848 si distinse per delle segnalazioni nello stesso
ambito il Dr. Mayo
Smith: "Molti pazienti vittime di consunzione polmonare
pagano delle fortune
per curarsi, per fare lunghi soggiorni termali oppure
per viaggiare magari
in assolate isole del mediterraneo. E però queste ed
altre spese mediche al
più rallentano solo leggerissimamente la progressione
della malattia senza
fermarla. D'altro canto le mie osservazione cliniche mi
dicono che la
maggior parte di questi pazienti avrebbero semplicemente
bisogno di essere
inviati da un bravo dentista per estrarre i denti
compromessi che stanno
contribuendo alle loro sofferenze, alle loro spese
mediche e in pratica ad
una loro morte prematura.
Qualche tempo fa si
presentò da me una giovane donna con una diagnosi di
tubercolosi. Soffriva di
consunzione da molti anni, ma le sue condizioni
erano peggiorate in modo
serio nell'ultimo periodo. Era debilitata,
emaciata, estremamente sensibile a
sforzi e stress. I suoi medici le avevano
consigliato con insistenza di fare
un viaggio nella sua nativa Marsiglia
nella speranza che il mediterraneo
potesse aiutarla a rimettere su un po' di
forze. Mi disse che a tratti aveva
avuto disturbi ad un dente che aveva
curato con degli impacchi. Dai denti
frontali uno poteva pensare che la
salute dei suoi denti fosse discreta e
invece quando andai a vedere meglio
trovai uno stato alquanto deteriorato di
molti denti. Per esempio
sull'arcata superiore destra tutti i molari e un
premolare erano
completamente compromessi. Ma lo stesso era simile per
l'arcata inferiore.
Otturai quelli che potevano essere curati, tolsi il
tartaro estrassi quelli
che era impossibile salvare. Circa una settimana dopo
la paziente si sentiva
così tanto meglio che aveva già abbandonato tutti i
propositi di viaggiare.
Quando la vidi tre mesi dopo era cambiata così tanto
nell'aspetto che
stentai a riconoscerla. Gli occhi erano fulgenti e tutte le
sue difficoltà
sembravano proprio essersi dissolti. Suo padre non finiva più
di
congratularsi con me, in effetti non aveva fatto altra terapia che
questa
della bonifica della situazione dentale. Io d'altra parte ho
osservato
spesso patologie anche più gravi di questa che venivano causate da
infezioni
dentali. Forse non in tutti i casi i cambiamenti positivi avvengono
con
grande immediatezza come in questo caso, ma i decorsi positivi verso
la
guarigione sono la norma. Alcuni colleghi mi dicono di aver raccolto
una
casistica simile. Mi auspico davvero che anche il medico generico
entri
nella logica che il primo indispensabile passo per il recupero della
salute
di questi pazienti sia la valutazione di eventuali patologie
dentali."
Senza ora voler entrare troppo nel dettaglio, il discorso è che
i
micobatteri o altri microrganismi patologici non sono sè stessi se prima
non
hanno trovato un antro in cui essere localizzati preferenzialmente
e
proliferare. Ebbene l'occasione giusta viene fornita dalla struttura
dei
denti al microrganismo nel momento in cui la vitalità del dente
vacilla
(Avdonina 1991)
Vallow nel 1914 sosteneva che la tubercolosi
poteva senz'altro essere
causata da un dente cariato in profondità e Gambetti
(1966) di nuovo
riportava un caso simile. Vallow spiegava che proprio il
fatto che al
micobatterio capitasse l'occasione di andare a cultura nel dente
era
decisivo prima dell'attacco focale sul tratto gastrointestinale o
la
colonizzazione definitiva dei polmoni.
Vallow allora si soffermava
a considerare il dente depolpato, devitalizzato:
"Al dente cui è stata fatta
la cura canalare senz'altro sono stati eliminati
i tessuti linfatici interni
della radice, ma l'area intorno all'apice del
dente è ancora ricca di tessuti
linfatici, per cui non deve suscitare
stupore che un'infezione cronica non
vista dal sistema (perché in una zona
franca) possa fare danni a distanza e
possa prima danneggiare il sistema
linfatico e poi "usarlo" per propagarsi.
Robert Major nel 1917 faceva notare
che la propagazione dell'infezione
nell'organismo era preceduta da una lunga
fase in cui il sistema immunitario
e il sistema linfatico erano stati
avvelenati in modo asintomatico da
bassissime dosi di proteine tossiche che
derivavano dal metabolismo
anaerobico di questi batteri.
Secondo le osservazioni del Dr. William
Duke, la malattia sifilitica poteva
in molti casi regredire completamente a
seguito della bonifica delle
infezioni dei denti, così come anche casi gravi
d'infezione tifoide.
Recentemente in effetti risulta da uno studio di Motta
(2011) che le
infezioni dentali croniche rappresentano un fattore primario di
mantenimento
degli episodi reattivi di lebbra e uno studio di Papagrigorakis
(2006)
mostra la presenza di una colonia del bacillo del tifo all'interno
della
radice di un dente cariato in una persona morta durante la piaga di
Atene
nel 430 a.C.
Abbiamo detto del contributo causale delle
patologie dentali nella
tubercolosi polmonare (tisi). Questa era una causa
importante di malattia e
di morte nel 1800. "Tubercolosi" onestamente era il
termine usato per quasi
tutte le malattie del tempo, per esempio nel caso di
Mozart si parlò di
tubercolosi con coinvolgimento reumatico e renale.
Documentandosi bene
sembra proprio che il compositore abbia sofferto di una
malattia neurofocale
di origine dentale (peggiorata da fattori contingenti).
La vittima di
tubercolosi polmonare più famosa che l'800 ci ha consegnato fu
Marie
"Violetta" Duplessis (1824-1847), la prostituta più famosa di tutti i
tempi,
che si innamorò ricambiata di un suo cliente. Ammalatasi giovanissima
di una
grave forma di tisi, non fece in tempo a cambiare vita proprio a causa
della
malattia, come abbiamo appreso dalla Traviata del Verdi (1853) o dal
romanzo
'La Signora delle Camelie' di Alexander Dumas (1952) che la
vedono
protagonista. Violetta aveva lasciato la sua famiglia di contadini
della
Normandia per stabilirsi a Parigi all'età di 14 anni ed iniziare a
lavorare
presso un fornaio. Una bellezza straordinaria, all'età di 20 anni
riceveva
conti e duchi in un appartamento sontuoso in Boulevard de Madeleine.
Ci fu
una indimenticabile partecipazione di popolo a Parigi ai funerali
di
Violetta. Una bellezza straordinaria, un carattere vivace, la
cortigiana
aveva rappresentato in quegli anni l'argomento di conversazione
più
apprezzato in tutta la Francia. Ogni volta che debuttava una commedia
nuova
a Parigi si era certi di vederla apparire con tre cose che non la
lasciavano
mai, poste sul parapetto del suo palco privilegiato: l'occhialino,
un
sacchetto di dolci e un mazzo di camelie. Sembra che la sua passione per
i
dolci abbia giocato un ruolo centrale del suo dramma. Infatti molti
autori
del tempo facevano notare che ad ammalarsi di consunzione erano molto
più di
frequente i consumatori di zucchero che non gli
altri.
Alexander Dumas, che ebbe una breve, burrascosa relazione con lei,
la
descrisse come nervosa, facilmente affaticabile, facilmente
irritabile,
capricciosa, con un comportamento infantile, pallida, molto
emotiva,
impulsiva, incontrollabile. Insomma aveva anche segni di
nevrastenia, che
infatti colpiva proprio i consumatori di zucchero. Violetta
accettava come
regalo floreale solo le camelie, fiori privi di profumo, visto
che le davano
fastidio gli odori (primo caso di sensibilità chimica
multipla?).
Garencières (1610-1680), un farmacista francese che trascorse
la maggior
parte della sua vita in Inghilterra, ha spiegato che lo zucchero
in
Inghilterra era responsabile della Tabes anglica, una forma di
tisi
particolarmente diffusa.
Secondo quanto riportato dallo storico
del 18° secolo William Stith, lo
zucchero ebbe il potere di far ammalare
Pocahontas di consunzione
(1595-1617). Suo padre, King Powhatan, che odiava i
modi degli inglesi,
sospettò subito che la loro decadenza morale, fisica e
l'odore che emanavano
attraverso la pelle avessero tutti un'origine comune, e
cioè le razioni di
zucchero, i biscotti e l'alcool o il rum della marina
inglese. Ma
Pocahontas, contrariamente a suo padre, rimase affascinata e
acritica di
tutte le novità. Il primo regalo che le fece Smith, l'inglese cui
salvò la
vita, furono zucchero e dei biscotti. Quando Pocahontas arrivò a
Londra fu
ospite della famiglia reale e tutta l'aristocrazia di Londra faceva
a gara
per averla presso di sè. Banchetti e feste danzanti furono date in
suo
onore. Il nuovo regime dietetico mise duramente alla prova i suoi
denti.
Pocahontas sviluppò una grave malattia che la portò alla morte
per
consunzione. Gli indiani, tutti tranne Pocahontas, erano fortemente
convinti
di questa relazione causa-effetto, e perciò erano prevenuti. Il Dr.
Weston
Price ce ne parla nel suo libro 'Nutrition and Physical
Degeneration'.
Quando Price visitò gli indiani che vivevano nelle zone
più impervie e
lontane delle Montagne rocciose, Price chiese al capo della
tribù indiana
quale potesse essere la ragione per cui loro non si ammalavano
di
consunzione. L'indiano rispose: "Perché queste sono malattie
dell'uomo
bianco". Price: "Cioè gli indiani sono immuni?" "No, anche per gli
indiani è
possibile ammalarsi. Ma il problema dell'uomo bianco è che ha
voluto
dimenticare da tempo la correlazione tra ciò che mangia e la sua
salute. Ma
è vero, anche gli indiani che consumano le farine e lo zucchero
venduto nei
negozi dell'uomo bianco si ammalano." Price notò che i denti
degli indiani
dello Yukon erano immacolati e a dire il vero anche il Dr.
Benjamin Rush nel
1800 aveva fatto la stessa osservazione.
Studi su
mummie nel periodo pre-dinastico (3400 a.C. fino al 1700 a.C.)
mostrano che
gli egiziani avevano denti buoni. Ciò valeva in modo
particolare per le
classi povere. I faraoni e le classi più abbienti invece
avevano la sfortuna
d'incorrere più facilmente in patologie dentali. Il
medico egiziano Arad
Nissa curò il faraone Annaper Essa nel 500 a. C. con
l'estrazione di denti
cariati. Il faraone soffriva di dolori reumatici
cronici alle ginocchia che
in un primo momento erano stati tenuti sotto
controllo con impacchi e misture
tradizionali ad uso medicinale. Ma ad un
certo punto i dolori del faraone
aumentarono e non erano più controllabili
con i rimedi. Ce ne parlano appunto
i geroglifici: al dottore fu dato un
ultimatum, o riusciva a liberare Annaper
dai dolori reumatici oppure sarebbe
stata ordinata la sua decapitazione. Il
dottore allora trovò il coraggio di
fornire la sua visione dei fatti. La
malattia non sarebbe migliorata se non
fosse stata allontanata la causa, e
cioè i denti infetti. Fu così che il
faraone guarì, si sentì come rinato dopo
le estrazioni di alcuni denti
infetti e il medico fu ben ricompensato per il
successo ottenuto! [Kuhmlein
1999]
Lo stesso avvenne per il re assiro
Asarhaddon secondo delle tavolette di
Ninive risalenti al 650 a.C. (ce ne
parla Leroy Waterman nel suo "Assyrian
Medicine in the Seventh Century",
1925). Il suo medico Aradna gli dice che
solo quando accetterà di farsi
estrarre i denti potrà riprendendersi dalla
malattia, che in quel caso era
una grave poliartrite a gambe e braccia,
peggiorata da mal di testa. “I denti
del mio Re devono essere rimossi,
perché è con essi che nasce l'infiammazione
interna. I dolori scompariranno
immediatamente e il suo stato di salute
tornerà normale”. Le conoscenze
empiriche di Aradna insieme con tutta la
clinica accumulata dai medici
assiri gli davano la sicurezza di non
sbagliarsi. Se Asarhaddon non guariva
dopo aver tolto i denti, il dolore
sarebbe stato tutto del suo servitore che
gli aveva consigliato una cosa
simile!
Allarghiamoci leggermente un attimo per poi tornare al punto. M.
Robert
segnalò in Treatise on the Principal Objects of Medicine, vol.2,
pag.311
(1844) il caso singolare di un bimbo che morì una sera dopo aver
sofferto
con gengive dolenti per denti primari che non riuscivano a venir
fuori.
Saputa la triste notizia il medico curante si recò da lui per
osservare le
condizioni dell'alveolo infiammato dove il dente non era
riuscito a
spuntare. Fece dunque un'incisione della gengiva, si accingeva ad
effettuare
una esplorazione minuziosa dell'area, quando improvvisamente vide
il bimbo
aprire gli occhi e mostrare segni di vita. Il piccolo fu liberato
dal
sudario nel quale lo avevano già sistemato, fu accudito, il dente
venne
fuori e il bambino recuperò perfettamente.
I miracoli di guarire
i paralitici, i sordi, i lebrosi e i ciechi o di
risorgere i morti, si
potrebbero riferire alla conoscenza che Esculapio
aveva dell'effetto dei
denti nelle malattie? Come abbiamo visto la presenza
di denti morti o infetti
crea una situazione cronica di avvelenamento
dell'organismo.
Questo il
modus operandi di Esculapio, il figlio prediletto del dio della
medicina
Apollo. Prediletto perché consapevole di alcune caratteristiche
della "forza
vitale".
" Hermon of Thasus. His blindness was cured by Asclepius."
[Inscriptiones
Graecae, 4.1.121 - 122, Stele 2.22]
"I found [in
writing this history] some who are reported to have been raised
by him
[Asclepius] , to wit, Capaneus and Lycurgus, as Stesichorus [645- 555
BC]
says... Hippolytus, as the author of the Naupactica reports[6th century
BC],
Tyndareus, as Panyasis [c. 500 BC] says; Hymnaneus, as the Orphics
report;
and Glaucus...as Melasogoras [5th century BC] relates." Apollodorus,
The
Library, 3.1.3- 3]
Il Dr. Mayo G. Smith (1848) riportò la guarigione
completa di un paziente
che prima era così sordo che gli si poteva parlare
solo attraverso una
tromba all'orecchio. Leonard Koecker riportò casi simili
di guarigione
(Deafness and case of lost sight cured by proper dental
treatment. Am. Jnl.
Dent. Sci. 3: 243-245, 1842-43). Problemi di varia natura
all'udito che
erano stati causati da infezioni dentali croniche sono stati
segnalati anche
da Arthur (1846), Harvey (1850), Niesmann (1850), Hilton
(1861), Drew
(1877), Tenison (1879), Spencer (1880), Smith (1885), Prosser
(1887), Netter
(1889), Dempsey (1901, Broca (1904, Smith (1912), Hutchinson
(1920), Adam
(1921), Frenzel (1921), Hartwich (1921), Huddleston (1921),
Tousey (1922),
Cahn (1923), Price (1923), Pilot (1924), Valentine (1924),
Clark (1925),
Dunlap (1925), Goadby (1925), Gracey (1925), MacKenzie (1925),
Kaiser
(1926), Kelemen (1926 & 1927), Leto (1927), Podesta (1927), Reys
(1927).
Diversi autori anche nel corso dell'ultimo secolo hanno fatto
questa
scoperta della correlazione tra malattie croniche degenerative e
necrosi
mandibolari o denti infetti asintomatici perché devitalizzati. La
presenza
di questi denti è un fardello insostenibile per la forza vitale
della
persona malata, ribadivano sulla scia di Ippocrate il Dr. Josef Issel,
il Dr
Max Gerson e numerosi loro illustri colleghi che consigliavano
di
allontanare i denti devitalizzati nelle persone malate. Impossibilitati
in
questo articolo a seguire nel dettaglio i casi clinici presentati da
questi
autori e finanche fare un breve elenco di tutti gli altri che si
sono
avvicinati a questa tematica, vediamo come succede che un medico
faccia
questa scoperta autonomamente.
- Come ne sono venuto a
conoscenza, Dr. Davo Koubi in: "O la bocca o la
vita!", Grancher Ed.
1991
Fu all'inizio della mia carriera, neo-assunto presso il dipartimento
di
Stomatologia dell'Università di Cannes, che iniziai a fare
osservazioni
inaspettate su come alcune malattie cronico-degenerative
rispondevano
all'estrazione di denti infetti. Una donna soffriva da nove anni
di una
malattia alla pelle con formazione continua di croste suppuranti.
Sollevando
una corona era uscita una puzza nauseabonda da un dente che
perciò
estraemmo. Togliendo quel dente, la sua condizione cronica
sparì
immediatamente. Un altro paio di osservazioni che feci nel giro di
qualche
settimana riguardavano: (1.) una undicenne, cui estrassi un dente da
latte
compromesso; l´effetto più rilevante fu quello di guarirla dalle
sue
difficoltà di mantenere normali valori di glicemia nel sangue; (2.)
un'altra
estrazione di un dente da latte infetto portò alla guarigione di
una
dermatite cronica in un altro ragazzo di dieci anni; i genitori
mi
segnalarono anche che dopo l'estrazione avevano notatao che il ragazzo
era
diventato molto meno agitato, non faceva più incubi come succedeva
di
frequente prima, si era liberato della sua occasionale
insufficienza
respiratoria. Mi ricordai allora cosa era accaduto con mio
padre nel 1930.
La sua vita sregolata si trovò davanti al verdetto della
clinica
Universitaria che preannunciava una sua fine prossima a causa di
una
tubercolosi con infezioni ricorrenti e congestione polmonare.
Dovette
restare a casa per quanto stava male e ciò non era mai successo in
vita sua.
Aveva 45 anni. Noi in famiglia eravamo sempre dipesi dal suo lavoro
ed ora
eravamo sull'orlo del lastrico! Ad un certo punto fu costretto ad
andare dal
dentista per dei terribili dolori al viso, noi pensavamo che fosse
proprio
la fine per lui! E invece no, fu la sua salvezza, perché gli
trovarono uno
stato di degradazione mandibolare avanzata, cioè
un'osteomielite sotto tutti
i denti che rese necessario estrarre non solo i
denti devitalizzati ma anche
quelli affianco, allo scopo di pulire l'osso e
fermare i dolori. Avendo
liberato la bocca da quelle nicchie putride, mio
padre guarì, riprese tutti
i suoi eccessi, e non ebbe mai più quelle
malattie. Visse ancora 32 anni in
discreta salute, cioè fino ai 77 anni di
età. Certo, aveva dovuto mettere la
dentiera, ma era guarito!
Come
dice il Dr. G. Pelz in un libro del 1966, «a chi più e a chi meno,
cari
dentisti, è capitato a tutti di prendere atto, dopo un'estrazione di
un
dente devitalizzato infetto, delle reazioni entusiaste di pazienti
che
scoprivano di essere stati liberati da questo o da quel disturbo.
Per
esempio i pazienti riportavano che nel giro di due o tre
giorni
dall'estrazione un mal di testa era sparito, o addirittura una
sciatalgia, o
un dolore lombare. Questo evento, estremamente gratificante per
il paziente,
viene però spesso considerato una fortunata coincidenza
temporale. Ma non si
tratta affatto di un caso…». Decisi di tenere gli occhi
aperti, volevo avere
altri dati perché di certo non riuscivo a pronunciare il
mio verdetto su una
storia così impossibile da credere: guarigioni definitive
e così nette solo
dopo l'estrazione di un dente devitalizzato? Denti
apparentemente perfetti
erano invece compromessi? Ci fu una lunga,
lunghissima fase che io
chiamerei: l'apprendista ha delle riserve ma inizia a
farsi una sua
opinione. La perplessità del neofita mi obbligava ad un
silenzio prudente.
La mia avida curiosità però ormai stava tracciando il
solco di una opinione
personale netta in base alle evidenze della scomparsa
dei dolori e di una
moltitudine di malattie acute o anche croniche! Altro che
analisi del
sangue, elettrocardiogramma, vaccini, auscultazione e
quant'altro!! Io
volevo vedere solo l'ortopanoramica quando mi si
presentavano pazienti in
difficoltà. Più andavo avanti e più diventavo
dipendente da quel tipo di
osservazione. Per quanto riguarda me, avevo
iniziato a soffrire di mal di
testa, vertigini e tachicardie poco dopo che
all'età di 15 anni ebbi un
dente devitalizzato. Dopo 16 anni andai a togliere
quel dente e tutti quei
problemi scomparvero insieme alla stanchezza. Ero
stufo di crisi
parossistiche che mi portavano quasi all'invadilità,
nonostante una
alimentazione curata. Farmaci allopatici, yoga e massaggi non
ebbero mai
ragione di questi disturbi cronici. Le diagnosi erano state
varie:
aerofagia, deficienza alla vescica biliare, sinusite, ipertensione.
Strano
che un 16enne avesse diagnosi di questo tipo. A 31 anni di età mi
dissero
che bisognava sacrificare l'appendicite. Tutti i medici concordavano
nella
diagnosi di appendicite cronica e si pensava che in qualche modo
stesse
contribuendo anche al peggioramento dei miei altri sintomi. Per quasi
un
anno fui obbligato a lavorare meno ore possibile e sospesi ogni altra
mia
attività. Prima di accettare la chirurgia per l'appendicite decisi
di
togliere dalla bocca quel dente che era stato devitalizzato poco prima
della
comparsa dei miei problemi 16 anni prima. Era un molare superiore che
dalla
radiografia sembrava ineccepibile, sia come terapia canalare che come
tenuta
senza infezioni. La gengiva era sana. Comunque la mia decisione era
presa.
L'assenteismo cronico cui le mie condizioni di salute mi condannavano
fu la
mia motivazione decisiva. Ritornai alla normalità dopo l'estrazione di
quel
dente devitalizzato. Che altro aggiungere? Migliaia di osservazioni
simili
si sono susseguite negli anni seguenti. Era come se un velo si
fosse
strappato davanti ai miei occhi. Ero entrato nella logica della
soppressione
della causa dei disturbi.
Abbiamo detto di mio padre,
ora vorrei fare una piccola digressione su mia
madre. Dopo i dolori reumatici
fu colpita anche da un aneurismo. E mentre
era saturata di consigli da tutte
le parti su tisane e farmaci vari
continuava a fare visite da dentisti. Io
stesso l'avevo accompagnata a fare
qualche devitalizzazione. A fronte dei mal
di testa costanti, della paralisi
facciale, delle vertigini, dei disturbi
reumatici, mia madre sofferente e
disperata aveva adottato un regime ferreo
di farmaci, d'iniezioni per i
dolori, ma anche una dieta macrobiotica
accortissima. La sua tensione
arteriale era arrivata a 29! Disperata aveva
anche riposto le sue ultime
speranze in riti religiosi e formule magiche.
Oggi sicuramente mi crederebbe
se le chiedessi di lasciarmi fare le
estrazioni dei suoi denti
devitalizzati. Secondo me sarebbe un atteggiamento
sconsiderato e sbagliato
da parte mia quello di insistere nel riportare tutte
le patologie ad una
causa sola. Ma altrettanto penalizzante e sbagliato
sarebbe ignorare questo
campo di ricerca. So per certo che la conoscenza di
questi fenomeni di
causa-effetto possono risultare utili ad un gran numero di
persone. I denti
devitalizzati diventano "focali" senza che ce ne si accorga
e possono
iniziare fenomeni distruttivi e infiammatori sull'osso sotto di
essi.
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