domenica 12 agosto 2012

I DENTI E LE ASPETTATIVE DI VITA

I denti come causa di malattie e basse aspettative di vita nei secoli
passati?

di Lorenzo Acerra

31 luglio 2012






Un problema molto comune nel diciassettesimo e diciottesimo secolo erano i
denti consumati dalla carie che dopo qualche disagio sembrava che non
dessero più fastidio e quindi venivano lasciati stare in bocca. Due autori
del 700, il famoso Pierre Fauchard (1728) e il chirurgo generale
dell'esercito inglese John Hunter (1771), segnalarono numerose guarigioni da
reumatismi, malattie di occhi, orecchie e sistema nervoso ottenute grazie
alla bonifica della bocca da questi denti. Anche il celebre Christopher
William Hufeland (1762-1836) parlò di questo spiegando che una bocca sana,
liberata dai denti con carie profonde era l'unica possibilità di arrivare a
vivere a lungo.

Il Goethe (1749-1832) s'interessò agli insegnamenti di Hufeland dopo che una
malattia che sembrava mortale fu risolta dall'estrazione di un dente
infetto. Tutti i tentativi precedenti di terapia avevano fallito. Il Goethe
visse altri 64 anni dopo quell'incidente, arrivò all'età di 83 anni
completamente sdentato, seguendo perciò il consiglio di Hufeland di togliere
i denti infetti man mano che si presentavano (Neuhauser 1982, Hufeland
1797). Un altro esempio sotto gli occhi di tutti è quello di Mozart (1756 -
1791) che un anno prima della sua morte ebbe alcuni ascessi dentali che non
furono trattati con l'estrazione. Ciò ha forse potuto contribuire sia ad una
recidiva dei reumatismi che al decorso estremamente sfavorevole della sua
malattia. Mozart aveva ancora dieci denti al momento della sua morte, di cui
tre denti con carie profonda, non estratti e nemmeno trattati (Bär C.,
"Mozarts Zahnkrankheiten", Acta Mozartiana 9, 1962, 3, pp.47-54). "Per
secoli," scriveva John Hunter (1771), "i medici hanno dovuto prendere atto
del fatto che i denti con la loro struttura particolare sono suscettibili di
diventare la sede di piccole lesioni croniche infiammatorie localizzate che
danno luogo a disturbi sistemici incredibilmente seri, anche quando
localmente nella bocca il disturbo infiammatorio sembra quasi inesistente."

Nell'arco dei 150 anni che seguirono troviamo segnalate nella letteratura
medica del tempo all'incirca 25.000 - 30.000 osservazioni simili, per
esempio la guarigione da una sordità fulminante nel momento dell'eruzione di
un dente del giudizio (J.G. Pasch 1775) e il ritorno del flusso mestruale in
una donna che per anni non ne aveva avuto, ottenuto grazie all'estrazione di
un dente con carie profonda (Willich 1778). Delaroche (1798) riportò un caso
simile in una donna che soffriva di mestruo molto scarso con sintomi
d'infiammazione gengivale dal lato destro, e ciò solo in corrispondenza
dell'arrivo di queste scarse mestruazioni. Andando a valutare la salute
della bocca, il medico scoprì dei denti cariati in profondità la cui
estrazione fece anche scomparire definitivamente le anomalie del mestruo.

E arriviamo al 1801: epilessia, dermatiti, problemi digestivi, mal di testa
e artriti venivano guariti con l'estrazione dei denti infetti dal Dr.
Benjamin Rush, firmatario della dichiarazione d'indipendenza. Egli scriveva:
"Le terapie delle malattie croniche diventano molto più soddisfacenti se
vengono associate alla bonifica di tutti i denti infetti che uno trova nella
bocca dei pazienti." Per esempio Rush ci dice che fu consultato dal padre di
un giovane di Baltimore che soffriva di epilessia, subito si informò sui
denti e risultò che molti di quelli sull'arcata superiore avevano carie
profonde. La loro estrazione infatti portò ad una perfetta guarigione.
Oppure la signorina A.C., affetta da reumatismo all'anca già da alcuni anni,
aveva avuto di recente un grave peggioramento ed era comparso anche un
leggero fastidio ad un dente. Rush prontamente le consigliò di far estrarre
questo dente e fu così che i sintomi scomparvero del tutto. Rush era
assolutamente entusiasta su tutta questa discussione che le patologie dei
denti potessero rivelarsi così spesso la causa di malattie apparentemente
inguaribili ed invocava a testimoni i numerosi autori che lo avevano
preceduto.

Uno dei primi sforzi "moderni" di classificare la scienza dentale risale ad
un importante chirurgo tedesco, Fabricius Hildanus (1560-1634), che nel suo
manuale segnalava centinaia di testimonianze di emicranie e malattie
sistemiche che erano state guarite estraendo denti cariati in profondità,
laddove tutti i rimedi usati in precedenza non avevano apportato il benchè
minimo beneficio. Nicolas Tulp (1593-1674), un rinomato medico di Amsterdam
esperto di anatomia, osservò che le malattie dei denti potevano dare origine
alle conseguenze più nefaste, persino essere causa di morte. Dopo di lui
Charles St. Yves (1667-1733), Marcello Malpighi (1628-1694) e Frederik
Ruysch (1638-1731) si distinsero per le loro indagini sui denti e le loro
osservazioni che i denti malati potessero diventare la causa di vari tipi di
patologie nell'organismo. Stiamo parlando dei più illustri medici
dell'epoca. Nathaniel Highmore (1630-1690) descrisse parecchi casi di
sinusiti che guarivano dopo l'estrazione di denti con carie profonde.
Christopher Schelhammer (1649 -1719), che fu professore di anatomia in
diverse università tedesche, specializzato in malattie delle orecchia, notò
che poteva assicurare una guarigione solo a quei pazienti che accettavano di
curare le carie superficiali ed estrarre i denti con carie troppo profonde.
Giorgio Baglivi, medico di Innocente XII e Clemente XI, autore di manuali
medici famosissimi, osservò nel suo Canone di Medicina: "Le persone i cui
denti hanno un cattivo odore o che hanno cambiato colore nonostante i
lavaggi giornalieri, hanno sempre una debolezza della funzione dello
stomaco, quasi sempre una tendenza all'indigestione, mal di testa dopo i
pasti, una salute generale poco soddisfacente e una tendenza al malumore. Se
impegnati nello studio o negli affari, queste persone sono impazienti ed
irritabili, oppure vittime di episodi di capogiri. Le frequenti
indisposizioni di stomaco danno loro sonnolenza, risveglio lento e comunque
un sonno poco ristoratore." (Baglivi, Opera Omnia Medico. Practica et
Anatomica, Lugduni, 1710).

Se facciamo ancora un passo indietro nel tempo, Ippocrate (460 - 375 a.C.)
segnalò numerosissimi esempi in cui la patologia dentale aveva l'effetto
d'iniziare reazioni in altre parti del corpo. Per esempio affermò che "un
reumatismo che resisteva ai tentativi di guarigione poteva essere eliminato
estraendo eventuali denti compromessi" (On Epidemics, Hb. ii, section i, p.
1002). Il più famoso medico di tutti i tempi aveva le idee chiare e infatti
dichiarò che la maggior parte delle suppurazioni focali causate dai denti
provenivano dalle infiammazioni create dai denti del giudizio. Per esempio
nel caso di un ragazzo che aveva dolore in un terzo molare dell'arcata
inferiore destra, Ippocrate si diceva sicuro del ruolo causale di quella
situazione dentale sulla suppurazione a carico dell'orecchio dello stesso
lato. Anche di recente numerosi autori, confrontando mandibole
dall'antichità ad oggi, hanno spiegato che i denti del giudizio sono un
attavismo – derivato da un'epoca quando il muso dei nostri antenati era più
lungo, mentre oggi invece il dente del giudizio purtroppo spunta sul ramo
ascendente della mandibola (Adler 1972, Mieg 1999, Lechner 1991, Grossman
1996). Non solo a volte il dente del giudizio non spunta proprio fuori ma,
quando lo fa, spesso si presenta con un anomalo grado di inclinazione oppure
comunque soffre la mancanza di spazio e in vari modi ciò crea situazioni
croniche d'infiammazione locali e focali (vedi:
http://www.medicinenon.it/tutte-le-terapie-falliscono-valutazioni-sui-denti-
del-giudizio ).

Ippocrate si rifaceva in realtà alla tradizione di Esculapio, che rimase in
vigore tra il 1100 a.C. e il 400 d.C. e che inizialmente veniva praticata
solo dai sacerdoti dei templi esculaplei, per esempio quelli di Epidauro,
Cos, Cnydus, and Rodi, mentre in seguito fu ripresa anche da guaritori non
sacerdoti. Ippocrate operava al tempio di Cos. Un altro argomento affrontato
era il contributo infiammatorio notevole apportato dai periodi di dentizione
difficile nei bambini che poteva far insorgere problemi in numerose diverse
parti dell'organismo. Quest'idea in realtà, accennata da Omero nell'Odissea,
apparteneva anche ad Esculapio ed è stata descritta dalla letteratura di
ogni epoca, dagli scritti in India del 1000 a.C. fino a Soranus di Efeso
(117 d.C.) e ai medici del diciassettesimo secolo. Questa osservazione
ricorrente su disturbi a distanza che vengono innescati da un'infiammazione
nella bocca evidentemente venne accolta dal modus operandi olistico di
Esculapio che spesso chiamava in causa la "forza vitale".

In questo testo ci dobbiamo accontentare di seguire alcuni aspetti del
discorso nelle parole di Ippocrate, che sono più concrete e che ci vengono
da fonti dirette, perché tutte le fonti che citano l'approccio olistico di
Esculapio sono così entusiaste da apparire miticizzate. Nello stabilire la
diagnosi di una malattia, Ippocrate consigliava di cercare il suo punto di
partenza. Per esempio se si trattava di mal di testa, di disturbi alle
orecchie o agli occhi, o di un qualsiasi sintomo su un lato solo del corpo,
insisteva che la causa poteva essere spesso rintracciata in qualche
infiammazione nelle aree dei denti. La famosa massima ippocratica, "le
malattie dovrebbero essere combattute alla loro origine", esprime proprio
questo modo di pensare.

Ippocrate aveva l'abitudine di fare osservazioni a 360° prendendo una gran
quantità di appunti, proprio perché cercava di capire quale "spina
irritativa" potesse essere la più rilevante nel caso specifico, la fonte
degli "umori dannosi" che stavano invadendo l'organismo e creando il
disturbo. La valutazione dello stato dei denti era preponderante, un
elemento onnipresente nella sua indagine. Tutti i medici ippocratici
dell'antichità avevano questo punto di vista, come per esempio Erofilo e
Erasistrato, illustri dottori della scuola medica di Alessandria (300 a.C.).
Interessante anche notare che il famoso enciclopedista e ricercatore medico
romano, Aulo Cornelio Celso (25 a.C. - 50 d.C.) non fece altro che
tramandare la tradizione medica ippocratica. Apprendiamo da Celso che i
denti che causano il ritiro delle gengive sono morti e il terapeuta che non
li prende in considerazione non riuscirà a far guarire i suoi pazienti.
Detto in altre parole, "A tutti quelli che non conoscono la causa della
malattia, risulterà anche impossibile curarla". Secondo quanto spiegava
Ippocrate, Celso coniò la famosa frase: "rubor, tumor, calor, dolor, functio
lesa" (ripresa da Galeno, che nel 200 d.C. scrisse tre libri di commentari
su Ippocrate), che descrive nell'ordine: (rubor) foci infiammatori, (tumor)
rigonfiamento, concentrazione e perimetrazione di un focus di metaboliti
infiammatori, (calor) la reazione primaria del sistema immunitario, (functio
lesa) una fase tardiva, cronica, caratterizzata dalla degenerazione del
tessuto invaso a distanza quando il sistema immunitario è sfiancato e meno
efficiente.

Sfortunatamente nei secoli ci si dimenticherà quasi del tutto
l'incoraggiamento di Ippocrate sulla necessità d'indagare la presenza
nell'organismo di siti primari di infiammazione o di putrefazione
localizzata, come per esempio l'interno dei denti compromessi, che diventa
il fattore causale di disturbi a distanza, prima indebolendo le difese del
sistema di regolazione e poi trasmigrando in altri siti secondo meccanismi
di locus minoris resistentiae.

Questo modo di pensare sui denti lo ritroviamo anche in pieno medio evo,
presso i guaritori naturali. La loro diagnosi partiva dalla bocca e la
guarigione veniva coadiuvata da cambiamenti di alimentazione, impacchi e
tisane con fitoterapici specifici per risvegliare la presenza dell'organismo
nelle parti ammalate. Anche i professori delle prime università di medicina
raccomandavano l'estrazione dei denti malati per la cura delle patologie
degli occhi e delle orecchie e di altri organi distanti (Ambroise Pare,
1517-1590, Giovanni Andrea Della Croce, 1533-1603, e Pieter van Foreest
1522-1597). Questi autori erano finanche a conoscenza del fatto che numerosi
malanni potevano essere fatti risalire a qualche frammento di radice rimasto
nell'osso mandibolare nel corso di precedenti estrazioni dentali.

Nel 1838 il Dr. Shearjashub Spooner scriveva: "Non credo sia il caso di
dubitare ancora che le malattie dei denti siano in grado di causare dei
disturbi fisici a distanza e possano contribuire allo sviluppo di malattie
sistemiche croniche." E citava oltre alle sue osservazioni personali una
quarantina di esempi di simili guarigioni pubblicati da Leonard Koecker in
"Grundsätze der Zahn-Chirurgie" (Weimar, 1828). Fu proprio negli anni
seguenti che ci fu lo scisma ufficiale e definitivo tra medicina e
odontoiatria. Nel 1851 il prof. Thomas Bond, dell'Università di Baltimora,
era protagonista di un ulteriore tentativo di ricucire la disattenzione
crescente dei medici su questo argomento invitandoli a "non sottovalutare la
patologia dentale come causa di difficoltà organiche a distanza, come invece
sta accadendo oggi che facciano i più." Per quanto in questo periodo ci
siano ancora molti autori interessati a questo tema, significativo è il
seguente passaggio di Samuel Fitch, autore di "System of Dental Surgery"
(1827): "Voi mi direte, com'è possibile che la correlazione tra patologie
dentali e malattie sistemiche, se è vera, sfugga all'attenzione della più
parte dei medici? Ebbene dovete sapere che gli insegnamenti sui denti da
alcuni decenni sono stati tolti dal curriculum formativo dei medici,
dopodichè questi generalmente non hanno la curiosità di valutare l'argomento
in relazione alle malattie che sono già impegnati a curare con un folto
arsenale di sostanze."

Fitch tra le altre cose raccolse un'ampia casistica sulle infezioni dentali
come fattore decisivo nello sviluppo della tubercolosi. Anche Leyden (1867),
Fuller (1881), Jaffe (1886) e Israel (1886) segnalarono diversi casi di
tubercolosi polmonare che guarivano in seguito all'estrazione di denti
compromessi. Ungar (1884) richiamò l'attenzione alla caratteristica
ulcerazione delle gengive, che nel caso specifico di un suo paziente
tubercolotico nasceva proprio da un dente cariato in profondità. Il dente
sospetto fu rimosso ottenendo un sorprendente recupero delle condizioni di
salute del paziente.

Già Areteo di Cappadocia aveva descritto una considerevole infiammazione
della gengiva nel primo caso di tubercolosi mai consegnato alla storia nel
1° secolo d.C. (De causis et signis diuturnorum morborum).

William Duke nel suo "Oral sepsis in its relationship to systemic disease"
(1918) invitava i suoi colleghi a trattare la tubercolosi e i casi di tabes
dorsalis con la bonifica delle infezioni dentali, perché queste potessero
essere la causa principale o comunque un co-fattore decisivo nel decorso di
queste malattie. Anche il celebre chirurgo francese Antoine Petit aveva
pubblicato nel 1750 alcuni casi di guarigione di tubercolosi di lunga data
ottenuta in seguito all'estrazione di denti malandati. Il Dr. Gater (1801)
oltreoceano quotava nel 1801 due casi di guarigione, uno da consunzione ed
un altro da vertigine, entrambi che duravano già da parecchi anni, con
l'estrazione semplicemente di due denti mal messi.

Nel 1848 si distinse per delle segnalazioni nello stesso ambito il Dr. Mayo
Smith: "Molti pazienti vittime di consunzione polmonare pagano delle fortune
per curarsi, per fare lunghi soggiorni termali oppure per viaggiare magari
in assolate isole del mediterraneo. E però queste ed altre spese mediche al
più rallentano solo leggerissimamente la progressione della malattia senza
fermarla. D'altro canto le mie osservazione cliniche mi dicono che la
maggior parte di questi pazienti avrebbero semplicemente bisogno di essere
inviati da un bravo dentista per estrarre i denti compromessi che stanno
contribuendo alle loro sofferenze, alle loro spese mediche e in pratica ad
una loro morte prematura.

Qualche tempo fa si presentò da me una giovane donna con una diagnosi di
tubercolosi. Soffriva di consunzione da molti anni, ma le sue condizioni
erano peggiorate in modo serio nell'ultimo periodo. Era debilitata,
emaciata, estremamente sensibile a sforzi e stress. I suoi medici le avevano
consigliato con insistenza di fare un viaggio nella sua nativa Marsiglia
nella speranza che il mediterraneo potesse aiutarla a rimettere su un po' di
forze. Mi disse che a tratti aveva avuto disturbi ad un dente che aveva
curato con degli impacchi. Dai denti frontali uno poteva pensare che la
salute dei suoi denti fosse discreta e invece quando andai a vedere meglio
trovai uno stato alquanto deteriorato di molti denti. Per esempio
sull'arcata superiore destra tutti i molari e un premolare erano
completamente compromessi. Ma lo stesso era simile per l'arcata inferiore.
Otturai quelli che potevano essere curati, tolsi il tartaro estrassi quelli
che era impossibile salvare. Circa una settimana dopo la paziente si sentiva
così tanto meglio che aveva già abbandonato tutti i propositi di viaggiare.
Quando la vidi tre mesi dopo era cambiata così tanto nell'aspetto che
stentai a riconoscerla. Gli occhi erano fulgenti e tutte le sue difficoltà
sembravano proprio essersi dissolti. Suo padre non finiva più di
congratularsi con me, in effetti non aveva fatto altra terapia che questa
della bonifica della situazione dentale. Io d'altra parte ho osservato
spesso patologie anche più gravi di questa che venivano causate da infezioni
dentali. Forse non in tutti i casi i cambiamenti positivi avvengono con
grande immediatezza come in questo caso, ma i decorsi positivi verso la
guarigione sono la norma. Alcuni colleghi mi dicono di aver raccolto una
casistica simile. Mi auspico davvero che anche il medico generico entri
nella logica che il primo indispensabile passo per il recupero della salute
di questi pazienti sia la valutazione di eventuali patologie dentali."

Senza ora voler entrare troppo nel dettaglio, il discorso è che i
micobatteri o altri microrganismi patologici non sono sè stessi se prima non
hanno trovato un antro in cui essere localizzati preferenzialmente e
proliferare. Ebbene l'occasione giusta viene fornita dalla struttura dei
denti al microrganismo nel momento in cui la vitalità del dente vacilla
(Avdonina 1991)

Vallow nel 1914 sosteneva che la tubercolosi poteva senz'altro essere
causata da un dente cariato in profondità e Gambetti (1966) di nuovo
riportava un caso simile. Vallow spiegava che proprio il fatto che al
micobatterio capitasse l'occasione di andare a cultura nel dente era
decisivo prima dell'attacco focale sul tratto gastrointestinale o la
colonizzazione definitiva dei polmoni.

Vallow allora si soffermava a considerare il dente depolpato, devitalizzato:
"Al dente cui è stata fatta la cura canalare senz'altro sono stati eliminati
i tessuti linfatici interni della radice, ma l'area intorno all'apice del
dente è ancora ricca di tessuti linfatici, per cui non deve suscitare
stupore che un'infezione cronica non vista dal sistema (perché in una zona
franca) possa fare danni a distanza e possa prima danneggiare il sistema
linfatico e poi "usarlo" per propagarsi. Robert Major nel 1917 faceva notare
che la propagazione dell'infezione nell'organismo era preceduta da una lunga
fase in cui il sistema immunitario e il sistema linfatico erano stati
avvelenati in modo asintomatico da bassissime dosi di proteine tossiche che
derivavano dal metabolismo anaerobico di questi batteri.

Secondo le osservazioni del Dr. William Duke, la malattia sifilitica poteva
in molti casi regredire completamente a seguito della bonifica delle
infezioni dei denti, così come anche casi gravi d'infezione tifoide.
Recentemente in effetti risulta da uno studio di Motta (2011) che le
infezioni dentali croniche rappresentano un fattore primario di mantenimento
degli episodi reattivi di lebbra e uno studio di Papagrigorakis (2006)
mostra la presenza di una colonia del bacillo del tifo all'interno della
radice di un dente cariato in una persona morta durante la piaga di Atene
nel 430 a.C.

Abbiamo detto del contributo causale delle patologie dentali nella
tubercolosi polmonare (tisi). Questa era una causa importante di malattia e
di morte nel 1800. "Tubercolosi" onestamente era il termine usato per quasi
tutte le malattie del tempo, per esempio nel caso di Mozart si parlò di
tubercolosi con coinvolgimento reumatico e renale. Documentandosi bene
sembra proprio che il compositore abbia sofferto di una malattia neurofocale
di origine dentale (peggiorata da fattori contingenti). La vittima di
tubercolosi polmonare più famosa che l'800 ci ha consegnato fu Marie
"Violetta" Duplessis (1824-1847), la prostituta più famosa di tutti i tempi,
che si innamorò ricambiata di un suo cliente. Ammalatasi giovanissima di una
grave forma di tisi, non fece in tempo a cambiare vita proprio a causa della
malattia, come abbiamo appreso dalla Traviata del Verdi (1853) o dal romanzo
'La Signora delle Camelie' di Alexander Dumas (1952) che la vedono
protagonista. Violetta aveva lasciato la sua famiglia di contadini della
Normandia per stabilirsi a Parigi all'età di 14 anni ed iniziare a lavorare
presso un fornaio. Una bellezza straordinaria, all'età di 20 anni riceveva
conti e duchi in un appartamento sontuoso in Boulevard de Madeleine. Ci fu
una indimenticabile partecipazione di popolo a Parigi ai funerali di
Violetta. Una bellezza straordinaria, un carattere vivace, la cortigiana
aveva rappresentato in quegli anni l'argomento di conversazione più
apprezzato in tutta la Francia. Ogni volta che debuttava una commedia nuova
a Parigi si era certi di vederla apparire con tre cose che non la lasciavano
mai, poste sul parapetto del suo palco privilegiato: l'occhialino, un
sacchetto di dolci e un mazzo di camelie. Sembra che la sua passione per i
dolci abbia giocato un ruolo centrale del suo dramma. Infatti molti autori
del tempo facevano notare che ad ammalarsi di consunzione erano molto più di
frequente i consumatori di zucchero che non gli altri.

Alexander Dumas, che ebbe una breve, burrascosa relazione con lei, la
descrisse come nervosa, facilmente affaticabile, facilmente irritabile,
capricciosa, con un comportamento infantile, pallida, molto emotiva,
impulsiva, incontrollabile. Insomma aveva anche segni di nevrastenia, che
infatti colpiva proprio i consumatori di zucchero. Violetta accettava come
regalo floreale solo le camelie, fiori privi di profumo, visto che le davano
fastidio gli odori (primo caso di sensibilità chimica multipla?).

Garencières (1610-1680), un farmacista francese che trascorse la maggior
parte della sua vita in Inghilterra, ha spiegato che lo zucchero in
Inghilterra era responsabile della Tabes anglica, una forma di tisi
particolarmente diffusa.

Secondo quanto riportato dallo storico del 18° secolo William Stith, lo
zucchero ebbe il potere di far ammalare Pocahontas di consunzione
(1595-1617). Suo padre, King Powhatan, che odiava i modi degli inglesi,
sospettò subito che la loro decadenza morale, fisica e l'odore che emanavano
attraverso la pelle avessero tutti un'origine comune, e cioè le razioni di
zucchero, i biscotti e l'alcool o il rum della marina inglese. Ma
Pocahontas, contrariamente a suo padre, rimase affascinata e acritica di
tutte le novità. Il primo regalo che le fece Smith, l'inglese cui salvò la
vita, furono zucchero e dei biscotti. Quando Pocahontas arrivò a Londra fu
ospite della famiglia reale e tutta l'aristocrazia di Londra faceva a gara
per averla presso di sè. Banchetti e feste danzanti furono date in suo
onore. Il nuovo regime dietetico mise duramente alla prova i suoi denti.
Pocahontas sviluppò una grave malattia che la portò alla morte per
consunzione. Gli indiani, tutti tranne Pocahontas, erano fortemente convinti
di questa relazione causa-effetto, e perciò erano prevenuti. Il Dr. Weston
Price ce ne parla nel suo libro 'Nutrition and Physical Degeneration'.

Quando Price visitò gli indiani che vivevano nelle zone più impervie e
lontane delle Montagne rocciose, Price chiese al capo della tribù indiana
quale potesse essere la ragione per cui loro non si ammalavano di
consunzione. L'indiano rispose: "Perché queste sono malattie dell'uomo
bianco". Price: "Cioè gli indiani sono immuni?" "No, anche per gli indiani è
possibile ammalarsi. Ma il problema dell'uomo bianco è che ha voluto
dimenticare da tempo la correlazione tra ciò che mangia e la sua salute. Ma
è vero, anche gli indiani che consumano le farine e lo zucchero venduto nei
negozi dell'uomo bianco si ammalano." Price notò che i denti degli indiani
dello Yukon erano immacolati e a dire il vero anche il Dr. Benjamin Rush nel
1800 aveva fatto la stessa osservazione.

Studi su mummie nel periodo pre-dinastico (3400 a.C. fino al 1700 a.C.)
mostrano che gli egiziani avevano denti buoni. Ciò valeva in modo
particolare per le classi povere. I faraoni e le classi più abbienti invece
avevano la sfortuna d'incorrere più facilmente in patologie dentali. Il
medico egiziano Arad Nissa curò il faraone Annaper Essa nel 500 a. C. con
l'estrazione di denti cariati. Il faraone soffriva di dolori reumatici
cronici alle ginocchia che in un primo momento erano stati tenuti sotto
controllo con impacchi e misture tradizionali ad uso medicinale. Ma ad un
certo punto i dolori del faraone aumentarono e non erano più controllabili
con i rimedi. Ce ne parlano appunto i geroglifici: al dottore fu dato un
ultimatum, o riusciva a liberare Annaper dai dolori reumatici oppure sarebbe
stata ordinata la sua decapitazione. Il dottore allora trovò il coraggio di
fornire la sua visione dei fatti. La malattia non sarebbe migliorata se non
fosse stata allontanata la causa, e cioè i denti infetti. Fu così che il
faraone guarì, si sentì come rinato dopo le estrazioni di alcuni denti
infetti e il medico fu ben ricompensato per il successo ottenuto! [Kuhmlein
1999]

Lo stesso avvenne per il re assiro Asarhaddon secondo delle tavolette di
Ninive risalenti al 650 a.C. (ce ne parla Leroy Waterman nel suo "Assyrian
Medicine in the Seventh Century", 1925). Il suo medico Aradna gli dice che
solo quando accetterà di farsi estrarre i denti potrà riprendendersi dalla
malattia, che in quel caso era una grave poliartrite a gambe e braccia,
peggiorata da mal di testa. “I denti del mio Re devono essere rimossi,
perché è con essi che nasce l'infiammazione interna. I dolori scompariranno
immediatamente e il suo stato di salute tornerà normale”. Le conoscenze
empiriche di Aradna insieme con tutta la clinica accumulata dai medici
assiri gli davano la sicurezza di non sbagliarsi. Se Asarhaddon non guariva
dopo aver tolto i denti, il dolore sarebbe stato tutto del suo servitore che
gli aveva consigliato una cosa simile!

Allarghiamoci leggermente un attimo per poi tornare al punto. M. Robert
segnalò in Treatise on the Principal Objects of Medicine, vol.2, pag.311
(1844) il caso singolare di un bimbo che morì una sera dopo aver sofferto
con gengive dolenti per denti primari che non riuscivano a venir fuori.
Saputa la triste notizia il medico curante si recò da lui per osservare le
condizioni dell'alveolo infiammato dove il dente non era riuscito a
spuntare. Fece dunque un'incisione della gengiva, si accingeva ad effettuare
una esplorazione minuziosa dell'area, quando improvvisamente vide il bimbo
aprire gli occhi e mostrare segni di vita. Il piccolo fu liberato dal
sudario nel quale lo avevano già sistemato, fu accudito, il dente venne
fuori e il bambino recuperò perfettamente.

I miracoli di guarire i paralitici, i sordi, i lebrosi e i ciechi o di
risorgere i morti, si potrebbero riferire alla conoscenza che Esculapio
aveva dell'effetto dei denti nelle malattie? Come abbiamo visto la presenza
di denti morti o infetti crea una situazione cronica di avvelenamento
dell'organismo.

Questo il modus operandi di Esculapio, il figlio prediletto del dio della
medicina Apollo. Prediletto perché consapevole di alcune caratteristiche
della "forza vitale".

" Hermon of Thasus. His blindness was cured by Asclepius." [Inscriptiones
Graecae, 4.1.121 - 122, Stele 2.22]

"I found [in writing this history] some who are reported to have been raised
by him [Asclepius] , to wit, Capaneus and Lycurgus, as Stesichorus [645- 555
BC] says... Hippolytus, as the author of the Naupactica reports[6th century
BC], Tyndareus, as Panyasis [c. 500 BC] says; Hymnaneus, as the Orphics
report; and Glaucus...as Melasogoras [5th century BC] relates." Apollodorus,
The Library, 3.1.3- 3]

Il Dr. Mayo G. Smith (1848) riportò la guarigione completa di un paziente
che prima era così sordo che gli si poteva parlare solo attraverso una
tromba all'orecchio. Leonard Koecker riportò casi simili di guarigione
(Deafness and case of lost sight cured by proper dental treatment. Am. Jnl.
Dent. Sci. 3: 243-245, 1842-43). Problemi di varia natura all'udito che
erano stati causati da infezioni dentali croniche sono stati segnalati anche
da Arthur (1846), Harvey (1850), Niesmann (1850), Hilton (1861), Drew
(1877), Tenison (1879), Spencer (1880), Smith (1885), Prosser (1887), Netter
(1889), Dempsey (1901, Broca (1904, Smith (1912), Hutchinson (1920), Adam
(1921), Frenzel (1921), Hartwich (1921), Huddleston (1921), Tousey (1922),
Cahn (1923), Price (1923), Pilot (1924), Valentine (1924), Clark (1925),
Dunlap (1925), Goadby (1925), Gracey (1925), MacKenzie (1925), Kaiser
(1926), Kelemen (1926 & 1927), Leto (1927), Podesta (1927), Reys (1927).

Diversi autori anche nel corso dell'ultimo secolo hanno fatto questa
scoperta della correlazione tra malattie croniche degenerative e necrosi
mandibolari o denti infetti asintomatici perché devitalizzati. La presenza
di questi denti è un fardello insostenibile per la forza vitale della
persona malata, ribadivano sulla scia di Ippocrate il Dr. Josef Issel, il Dr
Max Gerson e numerosi loro illustri colleghi che consigliavano di
allontanare i denti devitalizzati nelle persone malate. Impossibilitati in
questo articolo a seguire nel dettaglio i casi clinici presentati da questi
autori e finanche fare un breve elenco di tutti gli altri che si sono
avvicinati a questa tematica, vediamo come succede che un medico faccia
questa scoperta autonomamente.

- Come ne sono venuto a conoscenza, Dr. Davo Koubi in: "O la bocca o la
vita!", Grancher Ed. 1991

Fu all'inizio della mia carriera, neo-assunto presso il dipartimento di
Stomatologia dell'Università di Cannes, che iniziai a fare osservazioni
inaspettate su come alcune malattie cronico-degenerative rispondevano
all'estrazione di denti infetti. Una donna soffriva da nove anni di una
malattia alla pelle con formazione continua di croste suppuranti. Sollevando
una corona era uscita una puzza nauseabonda da un dente che perciò
estraemmo. Togliendo quel dente, la sua condizione cronica sparì
immediatamente. Un altro paio di osservazioni che feci nel giro di qualche
settimana riguardavano: (1.) una undicenne, cui estrassi un dente da latte
compromesso; l´effetto più rilevante fu quello di guarirla dalle sue
difficoltà di mantenere normali valori di glicemia nel sangue; (2.) un'altra
estrazione di un dente da latte infetto portò alla guarigione di una
dermatite cronica in un altro ragazzo di dieci anni; i genitori mi
segnalarono anche che dopo l'estrazione avevano notatao che il ragazzo era
diventato molto meno agitato, non faceva più incubi come succedeva di
frequente prima, si era liberato della sua occasionale insufficienza
respiratoria. Mi ricordai allora cosa era accaduto con mio padre nel 1930.
La sua vita sregolata si trovò davanti al verdetto della clinica
Universitaria che preannunciava una sua fine prossima a causa di una
tubercolosi con infezioni ricorrenti e congestione polmonare. Dovette
restare a casa per quanto stava male e ciò non era mai successo in vita sua.
Aveva 45 anni. Noi in famiglia eravamo sempre dipesi dal suo lavoro ed ora
eravamo sull'orlo del lastrico! Ad un certo punto fu costretto ad andare dal
dentista per dei terribili dolori al viso, noi pensavamo che fosse proprio
la fine per lui! E invece no, fu la sua salvezza, perché gli trovarono uno
stato di degradazione mandibolare avanzata, cioè un'osteomielite sotto tutti
i denti che rese necessario estrarre non solo i denti devitalizzati ma anche
quelli affianco, allo scopo di pulire l'osso e fermare i dolori. Avendo
liberato la bocca da quelle nicchie putride, mio padre guarì, riprese tutti
i suoi eccessi, e non ebbe mai più quelle malattie. Visse ancora 32 anni in
discreta salute, cioè fino ai 77 anni di età. Certo, aveva dovuto mettere la
dentiera, ma era guarito!

Come dice il Dr. G. Pelz in un libro del 1966, «a chi più e a chi meno, cari
dentisti, è capitato a tutti di prendere atto, dopo un'estrazione di un
dente devitalizzato infetto, delle reazioni entusiaste di pazienti che
scoprivano di essere stati liberati da questo o da quel disturbo. Per
esempio i pazienti riportavano che nel giro di due o tre giorni
dall'estrazione un mal di testa era sparito, o addirittura una sciatalgia, o
un dolore lombare. Questo evento, estremamente gratificante per il paziente,
viene però spesso considerato una fortunata coincidenza temporale. Ma non si
tratta affatto di un caso…». Decisi di tenere gli occhi aperti, volevo avere
altri dati perché di certo non riuscivo a pronunciare il mio verdetto su una
storia così impossibile da credere: guarigioni definitive e così nette solo
dopo l'estrazione di un dente devitalizzato? Denti apparentemente perfetti
erano invece compromessi? Ci fu una lunga, lunghissima fase che io
chiamerei: l'apprendista ha delle riserve ma inizia a farsi una sua
opinione. La perplessità del neofita mi obbligava ad un silenzio prudente.

La mia avida curiosità però ormai stava tracciando il solco di una opinione
personale netta in base alle evidenze della scomparsa dei dolori e di una
moltitudine di malattie acute o anche croniche! Altro che analisi del
sangue, elettrocardiogramma, vaccini, auscultazione e quant'altro!! Io
volevo vedere solo l'ortopanoramica quando mi si presentavano pazienti in
difficoltà. Più andavo avanti e più diventavo dipendente da quel tipo di
osservazione. Per quanto riguarda me, avevo iniziato a soffrire di mal di
testa, vertigini e tachicardie poco dopo che all'età di 15 anni ebbi un
dente devitalizzato. Dopo 16 anni andai a togliere quel dente e tutti quei
problemi scomparvero insieme alla stanchezza. Ero stufo di crisi
parossistiche che mi portavano quasi all'invadilità, nonostante una
alimentazione curata. Farmaci allopatici, yoga e massaggi non ebbero mai
ragione di questi disturbi cronici. Le diagnosi erano state varie:
aerofagia, deficienza alla vescica biliare, sinusite, ipertensione. Strano
che un 16enne avesse diagnosi di questo tipo. A 31 anni di età mi dissero
che bisognava sacrificare l'appendicite. Tutti i medici concordavano nella
diagnosi di appendicite cronica e si pensava che in qualche modo stesse
contribuendo anche al peggioramento dei miei altri sintomi. Per quasi un
anno fui obbligato a lavorare meno ore possibile e sospesi ogni altra mia
attività. Prima di accettare la chirurgia per l'appendicite decisi di
togliere dalla bocca quel dente che era stato devitalizzato poco prima della
comparsa dei miei problemi 16 anni prima. Era un molare superiore che dalla
radiografia sembrava ineccepibile, sia come terapia canalare che come tenuta
senza infezioni. La gengiva era sana. Comunque la mia decisione era presa.
L'assenteismo cronico cui le mie condizioni di salute mi condannavano fu la
mia motivazione decisiva. Ritornai alla normalità dopo l'estrazione di quel
dente devitalizzato. Che altro aggiungere? Migliaia di osservazioni simili
si sono susseguite negli anni seguenti. Era come se un velo si fosse
strappato davanti ai miei occhi. Ero entrato nella logica della soppressione
della causa dei disturbi.

Abbiamo detto di mio padre, ora vorrei fare una piccola digressione su mia
madre. Dopo i dolori reumatici fu colpita anche da un aneurismo. E mentre
era saturata di consigli da tutte le parti su tisane e farmaci vari
continuava a fare visite da dentisti. Io stesso l'avevo accompagnata a fare
qualche devitalizzazione. A fronte dei mal di testa costanti, della paralisi
facciale, delle vertigini, dei disturbi reumatici, mia madre sofferente e
disperata aveva adottato un regime ferreo di farmaci, d'iniezioni per i
dolori, ma anche una dieta macrobiotica accortissima. La sua tensione
arteriale era arrivata a 29! Disperata aveva anche riposto le sue ultime
speranze in riti religiosi e formule magiche. Oggi sicuramente mi crederebbe
se le chiedessi di lasciarmi fare le estrazioni dei suoi denti
devitalizzati. Secondo me sarebbe un atteggiamento sconsiderato e sbagliato
da parte mia quello di insistere nel riportare tutte le patologie ad una
causa sola. Ma altrettanto penalizzante e sbagliato sarebbe ignorare questo
campo di ricerca. So per certo che la conoscenza di questi fenomeni di
causa-effetto possono risultare utili ad un gran numero di persone. I denti
devitalizzati diventano "focali" senza che ce ne si accorga e possono
iniziare fenomeni distruttivi e infiammatori sull'osso sotto di essi.

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