giovedì 9 ottobre 2008

ACQUA: IL DECLINO DELL'ORO BLU



Al ritmo attuale, oltre la metà della popolazione mondiale non avrà accesso all'acqua potabile entro i prossimi venti anni. Ma già oggi il 30 per cento di essa vive in condizioni di scarsità idrica. Dati allarmanti, che fanno pensare a quella profezia secondo la quale, nel terzo millennio, le guerre si combatteranno per l’acqua, e non per il petrolio.

Lo ha annunciato a Tokyo il vicepresidente del World Water Council delle Nazioni Unite, William Cosgrove, nel corso di una conferenza stampa.«Attualmente», ha spiegato Cosgrove, «il 30 per cento della popolazione mondiale vive in condizioni di scarsità di acqua. Se si va avanti a questo ritmo di consumi questa crisi riguarderà nel 2025 almeno la metà della popolazione umana e questo non è sostenibile». Il World Water Council ha organizzato il terzo Forum mondiale dell'acqua che si terrà a Kyoto (Giappone) dal 16 al 23 marzo e dovrà accogliere oltre diecimila delegati tra cui 150 ministri e numerosi capi di stato. Secondo Cosgrove il Forum dovrà segnare il passaggio «dalla discussione alla definizione di un piano d'azione concreto», accompagnato da misure di finanziamento. E quanto si aspettano in molti, in occasione di quello che è stato dichiarato anno internazionale dell'acqua.

La classifica delle risorse idriche

I numeri della crisi sono contenuti in un rapporto dell'Unesco, pubblicato proprio in occasione del forum mondiale e presentato da Gordon Young, direttore del World Water Assessment Programme. Secondo l'Unesco, nei prossimi 20 anni la quantità di acqua a disposizione di ogni persona si ridurrà del 33 per cento. «Ma già oggi il 20 per cento della popolazione mondiale non ha accesso all'acqua potabile, mentre per il 40 per cento non c'è acqua a sufficienza per le pratiche igieniche e le fognature», spiega Young.
La quantità di risorse idriche pro capite è drammaticamente calata a partire dagli anni Settanta e sta continuando a declinare. Ogni anno 2 milioni e 200 mila persone muoiono a causa di malattie legate alla scarsa igiene dell'acqua. Nel 2050, la scarsità di acqua colpirà tra i 2 e i 7 miliardi di persone, su un totale di oltre 9 miliardi.

L'Unesco presenta anche una classifica di 122 paesi sulla base della capacità di fornire le risorse idriche. A sorpresa il peggiore risulta essere il Belgio, dove la scarsa quantità e la poca qualità delle acque di falda è combinata con forti tassi di inquinamento e con un pessimo trattamento delle acque di scarico. Al top della classifica ci sono invece paesi come la Finlandia, la Nuova Zelanda, il Canada, la Gran Bretagna e il Giappone. La ricerca evidenzia anche forti disparità nelle disponibilità idriche tra stato e stato. Un cittadino del Kuwait ha a disposizione circa 10 metri cubi di acqua per persona all'anno, mentre uno della Guyana francese oltre 821.

Poca acqua rischia di scatenare conflitti
I costi della crisi idrica che si profila saranno particolarmente alti, soprattutto per i paesi del Terzo Mondo. Gli stessi cambiamenti climatici dovrebbero incidere negativamente, con l'accelerazione del ciclo idrico che potrebbe comportare - in poche parole - un aumento degli episodi di inondazione da una parte e la crescita della siccità dall'altra. Previsioni già rese evidenti dalle statistiche. Dal 1971 al 1995, le inondazioni hanno colpito un miliardo e mezzo di persone, 81 milioni delle quali sono state trasformate in senzatetto e 318 mila uccise.
È aumentata anche la frequenza di questi disastri. Negli anni Cinquanta erano state sei, sette negli anni Sessanta, otto negli anni Settanta, 18 negli anni Ottanta e 26 negli anni Novanta. Anche la siccità è sempre più diffusa: tra il 1992 e il 2001, circa il 45 per cento delle morti causate dai disastri naturali dipende dalla siccità e dalle conseguenti carestie.

C'è poi il capitolo delle "guerre dell'acqua". Secondo un rapporto scritto da Clare Short del British International Development Secretary e pubblicato dall'Institute for Public Policy Research, la crisi idrica potrebbe scatenare nei prossimi anni molti conflitti: «Se due terzi della popolazione mondiale vivrà nel 2025 in paesi che avranno problemi nell'approvvigionamento di acqua potabile e se non si pone sufficiente attenzione al problema dell'equo accesso all'acqua, questa situazione rischia di diventare esplosiva», ha detto la Short. Un'area che sembra essere particolarmente problematica è quella dell'Eufrate e del Tigri tra Siria e Turchia.

Bisogna cercare in profondità
Così i ricercatori stanno cercando di trovare nuove fonti per questa preziosa sostanza. In particolare l'attenzione si sta concentrando sugli acquiferi ad alta profondità, alcuni dei quali possono contenere acqua vecchia di milioni di anni. Recenti tentativi di disegnare una mappa di questa risorsa, suggeriscono che gli acquiferi potrebbero nascondere acqua sufficiente a sostenere la vita di miliardi di persone per secoli. Ci sono però alcuni problemi. Anzitutto si sa poco dell'impatto ambientale che il pompaggio di quest'acqua potrebbe avere, soprattutto perché, un po' come i giacimenti di petrolio, potrebbero essere fonti esauribili. Poi non ci sono norme internazionali che ne regolino lo sfruttamento. E molte di queste falde di profondità sono divise tra più paesi.
Però, come ricorda Sandra Postel - direttore del Global Water Policy Project - lo sfruttamento che facciamo oggi dell'acqua potabile di laghi e fiumi non è sostenibile nel lungo periodo. E uno dei modi per trovare più acqua è proprio andare nel sottosuolo dove, alla profondità di sette-ottocento metri c'è molta acqua, circa cento volte di più di quella che si trova in superficie. Acqua che, secondo Alice Aureli, a capo dell'United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization's Transboundary Aquifer Project è di qualità superiore a quella di laghi e fiumi.
IVANO BOLLITORE



«NEL 1995 ISMAIL SERAGELDIN, vicepresidente della Banca mondiale, fece una previsione sulle guerre del futuro che ha avuto grande risonanza: «Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l'acqua».
Molti segnali fanno pensare che Serageldin abbia ragione. Le prime pagine di quotidiani, riviste e pubblicazioni accademiche parlano di insufficienza idrica in Israele, India, Cina, Bolivia, Canada, Messico, Ghana e Stati Uniti. Il 16 aprile 2001 il New York Times apriva con un articolo sulla scarsità idrica in Texas. Come Serageldin, il quotidiano annunciava: «Per il Texas, oggi, l'oro liquido è l'acqua, non il petrolio».
Se è vero che il New York Times e Serageldin hanno ragione sull'importanza dell'acqua nei conflitti di domani, è anche vero che le guerre dell'acqua non sono un'eventualità futura. Ne siamo già circondati, anche se non sempre sono immediatamente riconoscibili come tali».

Questa citazione dal nuovo libro di Vandana Shiva, una nota scienziata e ambientalista indiana, introduce una delle realtà più misconosciute del pianeta. Abituati a pensare che la crisi idrica, e i conflitti che quasi inevitabilmente ne deriveranno, siano una eventualità futura, non siamo in grado di riconoscere quanto il problema dell'accesso all'acqua - la vera risorsa "vitale", visto che senza di essa non sarebbe stata possibile la vita su questo pianeta - sia attuale.
E con esso i conflitti armati. Sono al tempo stesso guerre di paradigmi - conflitti su come percepiamo e viviamo l'esperienza dell'acqua - e guerre tradizionali combattute con armi da fuoco e granate, sostiene la Shiva. Secondo la quale questi scontri fra culture dell'acqua si stanno verificando in ogni società.
«Guerre paradigmatiche sull'acqua», scrive la scienziata indiana, «sono in corso in ogni società, in Oriente come in Occidente, a Nord come a Sud. In questo senso quelle dell'acqua sono guerre globali, in cui culture ed ecosistemi diversi, accomunati dall'etica universale dell'acqua come necessità ecologica, sono contrapposti a una cultura imprenditoriale fatta di privatizzazione, avidità e appropriazione di quel bene comune. Su un fronte di queste contese ecologiche, di queste guerre paradigmatiche, si trovano milioni di specie e miliardi di persone che chiedono quel minimo di acqua necessaria al sostentamento.

Sul fronte opposto c'è una manciata di imprese globali, dominate da Suez Lyonnaise des Eaux, Vivendi Environment e Bechtel, e sostenute da istituzioni globali quali la Banca mondiale, la World Trade Organization (Wto), il Fondo monetario internazionale (Fmi) e i governi del G7».

Accanto a queste guerre di paradigma ci sono le guerre vere e proprie, conflitti per l'acqua che si combattono a livello regionale, o all'interno dello stesso paese o della stessa comunità: «Che si tratti del Punjab o della Palestina, spesso la violenza politica nasce dalla contesa sulle scarse ma vitali risorse idriche. In alcuni conflitti il ruolo dell'acqua è esplicito, come nel caso della Siria e della Turchia, dell'Egitto e dell'Etiopia. Ma molti conflitti politici sulle risorse sono celati o repressi. Chi controlla il potere preferisce far passare le guerre dell'acqua per conflitti etnici e religiosi». Si tratta di coperture facili perché le regioni lungo i fiumi sono abitate da società pluralistiche che presentano una grande diversificazione di etnie, lingue e usanze. Per esempio, nel Punjab una delle ragioni del conflitto che negli anni Ottanta ha provocato oltre quindicimila morti è stata il continuo disaccordo sulla spartizione delle acque del fiume. Poi gli eccidi e gli scontri sono stati attribuiti alla rivolta sikh. «Queste rappresentazioni fuorvianti delle guerre», sostiene la Shiva, «svuotano di energia politica la ricerca di soluzioni eque e sostenibili ....

http://www.mail-archive.com/economia@peacelink.it/msg00453.html

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